Dopo tante discussioni e polemiche la riforma del lavoro targata Elsa Fornero è stata approvata in via definitiva dalla Camera. Ormai tutte le modifiche al mercato del lavoro, di cui abbiamo parlato nei mesi scorsi, sono diventati legge. Una legge destinata a cambiare in maniera sostanziale le prospettive di chi cerca un lavoro, ma anche di chi un lavoro già ce l’ha e teme di perderlo (o di non arrivare mai alla pensione). Cerchiamo di capire allora cosa cambia con le novità introdotte dalla riforma Fornero.
L’approvazione del testo è arrivata proprio in un momento propizio per il premier Mario Monti, che potrà far valere i risultati ottenuti davanti agli altri presidenti dell’euro-zona. Intanto il primo plauso è arrivato dal presidente della Commissione, Josè Manuel Barroso, che ha parlato di una riforma che “manda un forte segnale sulla determinazione in corso in Italia per risolvere i seri problemi strutturali che hanno per lungo tempo impedito al paese di sviluppare tutto il suo potenziale. Un passo chiave per sostenere l’occupazione e creare opportunità di lavoro per i giovani”.
Ma gli italiani la pensano davvero così? Oppure per loro si tratta dell’ennesima legge iniqua che, invece di tagliare lì dove ci sono sprechi (si legga la politica), preferisce colpire i soliti noti, rendendo più flessibile il mercato e di fatto condannando alla precarietà milioni di giovani e meno giovani. Non c’è dubbio che il termine “flessibilità” sia alla base stessa del progetto di riforma, e sia la Fornero che Monti in più occasioni hanno ribadito come il posto fisso non sia un obbligo, e anzi nel mondo moderno sia anacronistico.
Inutile dire che il punto più discusso della manovra è la modifica dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che di fatto non veniva toccato da oltre 40 anni e che rappresenta la chiave di volta per ottenere i risultati prefissati dal governo. Ci sono però anche altre iniziative importanti nel testo, sia per i neo-assunti e chi cerca lavoro, sia per chi già lavora con forme di contratto atipiche, sia per chi si ritrova senza lavoro (prospettiva non troppo remota in periodo di crisi economica).
Le parole chiave di questo approfondimento sono molte: Articolo 18, co.co.pro., Aspi e mini-Aspi, flessibilità, licenziamenti economici, partite Iva. A tutti questi argomenti dedicheremo il giusto spazio nelle prossime pagine, cercando di sintetizzare come cambia il mondo del lavoro a seguito dell’approvazione della riforma firmata Elsa Fornero.
Flessibilità in entrata: stage e apprendistato
Flessibilità, dicevamo. Il primo momento in cui se ne sentiranno gli effetti è l’ingresso nel mondo del lavoro. Lo scopo fondamentale della riforma, a livello contrattuale, è sempre stato quello di elevare il contratto a tempo indeterminato a forma unica e privilegiata di rapporto professionale. Per ottenere questo scopo, però, è subito apparso evidente che fosse necessaria una maggiore flessibilità, sia in entrata che in uscita, per non ancorare l’azienda al dipendente e viceversa.
Il ministro Fornero ha sintetizzato il concetto in una delle sue più discusse dichiarazioni: “Con una modifica equilibrata dell’articolo 18 non blindiamo più il lavoratore ad un singolo specifico posto di lavoro. Vogliamo ridurre l’area della precarietà contrastando la flessibilità cattiva. Il contratto a tempo determinato diventerà più oneroso, perché è un fattore produttivo, e i fattori produttivi si pagano”.
In entrata, le modifiche più importanti riguardano il contratto di apprendistato e lo stage. Per quanto riguarda l’apprendistato, questo verrà considerato da oggi in poi come il canale privilegiato di accesso al lavoro. Il meccanismo è reso possibile da una serie di agevolazioni per le imprese che assumono con questa forma contrattuale, anche se l’assunzione è collegata alla percentuale di stabilizzazioni (50%) effettuate nell’ultimo triennio. Il rapporto tra giovani in apprendistato e lavoratori qualificati è destinato a salire da 1:1 a 3:2.
Potranno accedere all’apprendistato tutti i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, sarà necessario l’affiancamento del tutor (con obbligo di certificare la formazione), e la durata massima di questo tipo di contratto non potrà superare i 5 anni. Nello specifico, comunque, i dettagli saranno disciplinati dalla contrattazione collettiva.
Per quanto riguarda gli stage, il governo ha voluto effettuare un giro di vite contro le aziende che sfruttano questa formula di ingresso nel lavoro per ottenere professionalità a costo zero. Con la riforma non sarà più possibile per le aziende porre in essere stage gratuiti per i giovani laureati. Lo stage va retribuito (verranno anche stabiliti dei minimi): sembra una cosa normale, eppure per l’Italia è una conquista.
Riforma e contratti di lavoro
Abbiamo visto quel che succederà alle forme contrattuali di entrata nel mondo del lavoro. Vediamo adesso come cambieranno le altre tipologie di contratto, secondo quanto stabilito dalla riforma del lavoro.
Contratto a tempo determinato: questa tipologia di contratto diventerà sempre più onerosa per le aziende. Un modo per scoraggiare l’abuso di contratti a termine, favorendo invece l’inserimento progressivo (tramite apprendistato). Ci sarà quindi una maggiorazione dell’1,4% sugli attuali contributi, che serviranno a finanziare la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Api), di cui tratteremo nella pagina dedicata agli ammortizzatori sociali. Questi contributi “in più” potranno essere recuperati dall’azienda se deciderà di commutare il rapporto in assunzione a tempo indeterminato.
Il tempo determinato non potrà comunque superare i 36 mesi di termine, soglia che, se superata, fa scattare automaticamente il tempo indeterminato. La durata del primo contratto a tempo determinato sarà di un anno, ma la pausa prima di un eventuale rinnovo sale dagli attuali 10 giorni a 20 giorni (per un contratto di meno di 6 mesi) e a 30 per un contratto di durata superiore.
Contratto a progetto: norme più rigide anche per i contratti a progetto, che spesso nascondo un vero rapporto di esclusività e dipendenza, senza però averne i vantaggi (per il lavoratore, si intende). Eliminata dal contratto la possibilità di introdurre clausole individuali che consentono il recesso del datore di lavoro prima della scadenza o del completamento del progetto, anche in mancanza di giusta causa. Sempre nella logica di rendere meno convenienti queste forme di collaborazione, anche qui si avrà un aumento dell’aliquota contributiva della gestione separata INPS.
Partita Iva: lotta serrata alle false partite Iva che nascondo lavoro dipendente. Non si potrà più parlare di partita Iva se la collaborazione supera la durata di 8 mesi in un anno, o qualora il collaboratore ottenga da questa collaborazione più dell’80% delle sue entrate mensili. Il vero collaboratore a partita Iva non deve avere una postazione fissa in azienda e devono comunque superare il reddito annuo lordo di almeno 18mila euro.
Lavoro a chiamata: introdotto l’obbligo per l’azienda di comunicazione amministrativa in occasione di ogni chiamata di lavoro (multe previste fino a 2400 euro), comunicazione contestuale al preavviso da dare al lavoratore per ogni variazione di orario. Una procedura comunque facilitata dal fatto che, per attivare il lavoro a chiamata, basta da oggi un sms alla Direzione provinciale del lavoro.
Flessibilità in uscita: licenziamenti e ammortizzatori sociali
La flessibilità si declina anche e soprattutto in uscita, con una riforma che (secondo i detrattori) renderà più facile licenziare e più difficile il reintegro in caso di licenziamento illegittimo. Per contrastare questa flessibilità necessaria, il governo ha comunque previsto una serie di nuovi ammortizzatori sociali, che rendono il sistema di “difesa” più razionale, evitando sprechi e puntando all’efficacia.
Parlando di licenziamenti, viene sempre dichiarato nullo il licenziamento discriminatorio, motivato da ragioni razziali, politiche o sindacali. Il licenziamento economico, quello per giusti motivi economici, ha subito una rilettura globale e molto discussa. Innanzitutto, prima di passare nelle mani del giudice, il contenzioso tra azienda e lavoratore dovrà sottostare alla cosiddetta conciliazione, resa obbligatoria. Solo nel caso in cui non si trovi un compromesso, spetterà al giudice decidere su eventuale reintegro o indennizzo (da 15 a 27 mensilità). Alla fine è stato stabilito che il ritorno in azienda del dipendente potrà essere stabilito solo in base alle tipizzazioni previste nei contratti collettivi e nei codici disciplinari.
Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare, infine, dovrà sempre essere giustificato da una giusta causa di significativa entità. Se tuttavia il giudice accerterà la mancanza di tale fondata motivazione disciplinare, potrà decidere per il reintegro o per l’indennizzo (15 – 27 mensilità). Cosa succede quindi a chi si ritrova senza lavoro? Qui entrano in gioco i nuovi ammortizzatori sociali, e in particolare l’Aspi, che almeno per qualche anno lavorerà in parallelo con le tutele già consolidate.
L’Aspi verrà estesa a tutti i lavoratori in caso di disoccupazione involontaria (inclusi apprendisti e artisti), sostituendo nello specifico l’indennità di mobilità, la disoccupazione ordinaria non agricola, la disoccupazione con requisiti ridotti e l’indennità di disoccupazione speciale edile. Il sussidio avrà importo pari a 1.200 euro al mese, e una durata massima di 12 mesi per i lavoratori con meno di 55 anni, soglia che sale a 18 mesi per quelli più anziani. Accanto all’Aspi ordinaria, è prevista anche una Mini Aspi, destinata a sostituire l’attuale indennità di disoccupazione con requisiti ridotti.