La riforma del lavoro voluta dal ministro Fornero è ormai un disegno legge, e bisogna ammettere che tra esodati e Articolo 18, il governo e le parti sociali hanno avuto un bel po’ di cose da discutere negli ultimi mesi. Non c’è dubbio comunque che proprio l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori rappresenti il punto nevralgico dell’intera struttura di riforma, un totem che il governo è riuscito a rendere meno rigido grazie soprattutto all’introduzione dei licenziamenti economici. Vediamo allora tutte le novità.
Dal testo presentato per l’approvazione si evince come alla fine sia stato dato il via libera ai cosiddetti licenziamenti economici, il che significa che diventa legittimo da parte dell’azienda licenziare qualora sussistano oggettivi motivi economici, eludendo quindi le tutele dell’articolo 18 in vigore fino ad oggi. Alla fine l’unica vittoria dei sindacati in merito a questo scottante tema è stato riuscire ad evitare la cancellazione nel testo di riforma della possibilità di reintegro qualora venga dimostrata l’insussistenza delle motivazioni. In caso di ricorso del lavoratore, quindi, il giudice può scegliere tra reintegro e indennizzo, ma solo nel caso in cui il motivo sia “manifestamente insussistente”.
Come primo passo per la ricomposizione del contenzioso tra azienda e dipendente viene costituita la procedura di conciliazione. Solo se la conciliazione fallisce, allora entra in gioco il giudice. In pratica quando il datore di lavoro dichiararne l’intenzione di licenziare la commissione provinciale di conciliazione convoca le parti per trovare un accordo consensuale. Se entro 20 giorni non si tra un accordo, il lavoratore potrà ricorrere contro il licenziamento, rischiando per comunque il licenziamento e la perdita di eventuali indennizzi qualora non riuscisse a dimostrare l’infondatezza delle motivazioni o la presenza di discriminazione. Uno stratagemma creato per evitare i ricorsi dei lavoratori licenziati, che ovviamente va a tutto vantaggio delle aziende.
Per fortuna non sono state toccate le tutele dell’articolo 18 per quanto riguarda licenziamenti discriminatori e disciplinari. I licenziamenti discriminatori, qualora accertati, sono sempre nulli e prevedono il reintegro, mentre i licenziamenti disciplinari subiscono una modifica per quanto riguarda l’indennizzo, che potrà oscillare tra 12 a 24 mensilità mentre prima era tra 15 e 27. Si tratta di una concessione che i sindacati hanno dovuto fare per ottenere l’inserimento del reintegro nel testo. Modifiche sostanziali anche per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali con la creazione dell’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego, destinata a sostituire nei prossimi anni qualsiasi altra forma di indennità di mobilità e di disoccupazione.
L’Aspi viene presentata come una forma di assicurazione universale e sarà pari al 75% della retribuzione fino a 1.150 euro e al 25% oltre questa soglia, per un tetto massimo di 1.119 euro lordi al mese. La cassa integrazione straordinaria subirà invece un’estensione per le imprese del commercio tra i 50 e i 200 dipendenti, le agenzie di viaggio sopra i 50 e le imprese di vigilanza sopra i 15. Per le aziende non coperte arriva infine un fondo di solidarietà cui contribuiranno sia datori di lavoro (per 2/3) che lavoratori (1/3).
Nessuna novità per la situazione scaborsa degli esodati, anche se nel testo si parla di un’indennità qualora dovessero esserci accordi per un nuovo esodo. L’indennità sarà a carico del datore di lavoro e coprirà gli anni che separano il lavoratore dalla pensione per un massimo di quattro anni. Chiudiamo con una notizia che avvicina i papà italiani a quelli europei: viene infatti introdotto il mini-congedo di paternità obbligatorio, che corrisponde a tre giorni di congedo dei quali due in sostituzione della madre.
Licenziamenti economici e onere della prova
Quello delle tutele per i lavoratori è il tema più scottante che divide governo e parti sociali. Se da un lato l’esecutivo sente la necessità di rendere più snello il mercato dall’altra i sindacati e la politica provano a porre un freno alla cancellazione dei diritti in nome del libero mercato. Nella diatriba si inserisce poi anche Confindustria, che spinge proprio per iniziative a favore delle aziende. In questo gioco di equilibri pare sia il momento di segnare un punto a favore dei lavoratori per quanto riguarda il licenziameno per giustificato motivo oggettivo, altrimenti detto per motivi economici.
Ci riferiamo ovviamente solo a quei licenziamenti illegittimi che nascondono dietro lo scudo della crisi economica motivazioni disciplinari o peggio ancora discriminatorie. Secondo la normativa vigente al giudice spetta soltanto il controllo circa l’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, ed è sul lavoratore che “grava l’onere di provare l’inutilità della singola posizione e l’impossibilità di adibire il lavoratore in altra collocazione”. Dalla bozza del nuovo testo sparisce questo richiamo all’onere della prova a carico del lavoratore, affermando che “qualora si accerti che il licenziamento è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, il giudice applica la relativa tutela”. Sarà quindi il giudice a decidere, e lo farà basandosi non solo sulle prove addotte dal dipendente.
Nella discussione su licenziamenti e onere della prova rientrano anche i contratti a termine. A seguito di un vertice tra governo e partiti il Pd posto l’accento sulla necessità di modificare la riforma introducendo nuove tutele in favore dei lavoratori dipendenti, specie se soggetti a licenziamento illegittimo celato da motivazioni economiche, ma il Pdl avrebbe dato il proprio assenso solo in cambio di un ammorbidimento proprio sui contratti a termine. Ancora non sono chiari i termini di questa ulteriore revisione.
Non solo onere della prova, comunque, perché sul tavolo del governo ci sono anche altre modifiche al vaglio come l’ampliamento delle possibilità del giudice di concedere il reintegro in azienda al posto del previsto indennizzo, e il rafforzamento della conciliazione preventiva, che diventerebbe obbligatoria e finalizzata a esaminare la fondatezza dei motivi del licenziamento. Le tutele concesse dovrebbero consentire al governo un via libera più veloce per la riforma del lavoro, ma è qui che entrano in gioco le aziende, che non vedrebbero di buon occhio tutti questi passi indietro a favore dei dipendenti. La partita dunque è ancora aperta.