Una vicenda incredibile, evidenziata dalla Garante della Sardegna per le persone prive di libertà: “Mi ci è voluto un giorno per riprendermi da quello che ho visto”
Una cura che sembra una punizione. Anzi, una tortura. Il Garante della Sardegna per le persone private della libertà personale, ha visitato il carcere di Aias di Cortoghiana ed ha scoperto una vicenda clamorosa. Che sembra quasi uscita dalla penna di un abile scrittore di libri gialli. Un detenuto, affetto da una patologia particolare, ha passato più di tre lustri rinchiuso in carcere e costretto a vivere come Hannibal Lecter.

Ma Bruno non ha nulla del serial killer raccontato dai romanzi di Thomas Harris o dalle pellicole con Anthony Hopkins protagonista. La sua è una storia incredibile, che lo porta a vivere un “trattamento che appare più vicino al concetto di tortura che a quello di cura”, come ha dichiarato Irene Testa, nuova Garante della Sardegna per le persone private della libertà personale. Bruno è in carcere da quindici anni ed è afflitto da una malattia rara e invasiva: il picacismo. Un disturbo, si legge nei manuali medici, del comportamento alimentare caratterizzato dall’ingestione continuata nel tempo di sostanze non nutritive (terra, sabbia, carta, gesso, legno, cotone, etc.).
In poche parole Bruno soffre di una patologia che lo porta ad ingerire qualsiasi cosa gli si pone davanti: generalmente materiali non commestibili. Una malattia invalidante, che può provocare danni alla salute, in base a ciò che si ingerisce. Molto spesso chi ne soffre ha continui attacchi di stipsi, occlusione del tratto digerente, avvelenamenti o infezioni. Bruno è costretto a vivere in una condizione incredibile. “Ho atteso un giorno prima di mettere nero su bianco quanto visto all’Aias di Cortoghiana . Un giorno per riprendermi – confessa Irene Testa – dallo scenario agghiacciante e raccapricciante che mi sono trovata davanti”. “Bruno – spiega la Garante – è affetto da picacismo, patologia che lo porta a ingerire qualsiasi cosa gli capiti davanti. Da oltre sedici anni viene tenuto tutto il giorno legato per le mani, con un casco in testa. Apparentemente non perché pericoloso verso gli altri, ma verso di sé”.

Bruno è legato ed ha un casco. Chi lo ha visto, giura che la sua condizione sembra quella di Hannibal Lecter: “Io non sono un medico e non spetta a me dare ricette, magari dal sapore semplicistico perché guidate dall’onda emotiva – chiarisce Testa – Sono la garante delle persone private della libertà personale e proprio di persone, di singoli casi ho il dovere di occuparmi. Non mi sto riferendo quindi alla struttura, ma a un caso specifico di un ospite al suo interno, per la verità già sollevato da alcuni anni dalla presidente dell’Unasam, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, Gisella Trincas, ma anche oggetto di esposti alla Procura, di lettere all’allora ministro della Salute Speranza e di interrogazioni nel Consiglio regionale sardo”. “Non mi rassegno – assicura la Garante – non posso accettare che una persona malata venga sottoposta a un trattamento che appare più vicino al concetto di tortura che a quello di cura. Non è però tempo dell’indignazione ma della concreta e rapida azione di tutti gli attori istituzionali che possano dare un contributo a cambiare questa situazione. Questa è una sorta di appello: dobbiamo farlo per Bruno e per tutti gli altri Bruno”.