E’ durata appena una stagione l’esperienza di Luis Enrique alla Roma. 337 giorni fa la firma del contratto con la dirigenza giallorossa, poche ore fa l’addio ufficiale, tra singhiozzi e volti corrucciati, seduto su di un pallone nel bel mezzo del campo sportivo a Trigoria, il tecnico spagnolo ha informato tutta la squadra. La notizia assume contorni ancora più clamorosi se si pensa che solo 10 giorni fa lo stesso spagnolo aveva con forza ribadito di essere un combattente nato e la sua permanenza nella capitale doveva ancora fruttargli le migliori soddisfazioni, parole al venti evidentemente, Luis Enrique avvertiva già il vento della separazione, il clima che ti avvolge quando sai che hai dato tutto, hai fatto tutto ciò che era in tuo potere e i risultati non sono mai arrivati o comunque non sono mai stati all’altezza.
L’addio di Luis Enrique a Trigoria
Dopo la consueta seduta di allenamento a Trigoria, in vista dell’ultima gara di campionato in quel di Cesena, Luis Enrique ha chiamato a raccolta la squadra e lo staff tecnico, si è accovacciato su un pallone e ha trovato le parole giuste per informare i giallorossi della sua scelta, irremovibile e decisa. “Vado via. Non me la sento di andare avanti, non riesco più a dare il 100%. Per me andare via è una sconfitta, non sono riuscito a trasmettere quello che volevo, non sono riuscito a mettere sul campo le idee del mio calcio. Mi scuso con quelli di voi che ho impiegato meno, che non sono riuscito a valorizzare, ma ero chiamato a fare delle scelte. Continuate comunque a seguire questa grande società” – ha spiegato l’iberico parlando in un silenzio assordante, mentre Baldini e Sabatini già a conoscenza della scelta se ne stavano fermi sul balcone che affaccia su Trigoria. Una scena quasi cinematografica quella che si è vista, il fallimento professionale del tecnico di Gijon, arrivato all’Olimpico con le migliori intenzioni cozza con i programmi trionfalistici e ambiziosissimi messi in cantiere da Thomas Di Benedetto coadiuvato dal fidato ds Baldini. L’insediamento dello spagnolo fu accolto con sorpresa ma tanto entusiasmo dai tifosi giallorossi, una ventata di novità attendeva il calcio capitolino, se non altro perchè Enrique era reduce dall’esperienza alla guida del Barcellona B, la formazione di riserve catalane e Barcellona vuol dire spettacolo.
La delusione già alla prima giornata
Così non è stato, quasi tutto è andato storto sin da subito, sin dall’esordio con ko in campionato contro il Cagliari e l’eliminazione immediata dall’Europa League, due colpi duri da digerire. Poi alti e tanti bassi, una parvenza di ripresa e altre batoste con la doppia sconfitta nel derby con la Lazio e il pesante passivo in Coppa Italia con la Juventus, scivolone replicato anche in campionato. Alla Roma resta un settimo posto da difendere se non se lo farà soffiare dalle agguerrite Parma e Bologna e la sconcertante eredità di un’annata nata male e finita peggio. Peccato per l’addio a Luis Enrique. Lo spagnolo non se ne andrà sbattendo la porta o sommerso dalle critiche, d’altronde società, giocatori, dirigenza e gran parte della tifoseria sono sempre stati con lui, tecnico dallo spirito mai domo e leader nato, ma non è bastato.
Gli stranieri senza fortuna in Italia
Al tecnico di Gijon non resta che preparare mestamente le valigie e salutare con calore l’ambiente che lo ha ospitato per quasi un anno, ma il rammarico c’è ed è grande. Luis Enrique allunga quella lista di tecnici stranieri che non hanno trovato fortuna allenando club di Serie A, un dato in controtendenza a tutti gli allenatori italiani che con coraggio e successo hanno accettato un incarico in un altro paese e sono sempre più richiesti. Senza indietreggiare troppo nel tempo, Rafael Banitez è l’esonero più recente. Lo spagnolo alla sua prima apparizione in Italia non ha fatto in tempo a mangiare il panettone che poco prima di Natale è stato esonerato da Massimo Moratti che preferì affidare la sua Inter a Claudio Ranieri. Ancora più impalpabile fu la presenza di Rudi Voeller all’Olimpico. Il tedesco lasciò il segno in maglia giallorossa da giocatore, giocando nella capitale dal 1987 al 1992 ma fallì da allenatore quando nel 2004 fu chiamato in tutta fretta dalla dirigenza per sostituire l’uscente Cesare Prandelli. Ebbe tutt’altro che fortuna anche Oscar Tabarez che a dirla tutta non deve conservare un piacevole ricordo del nostro campionato. Da dimenticare le sue panchine a Cagliari e Milano, molto meglio ha fatto a livello di nazionale, portando l’Uruguay a vincere la Coppa America quest’anno in Argentina. Niente da fare neanche per Faith Terim, il turco che dopo una breve parentesi alla Fiorentina fu chiamato a San Siro ma il filotto di risultati scadenti portarono alla sua cacciata e all’arrivo di Carlo Ancelotti.