Obbligo di rimozione delle barriere architettoniche nei condomini: normative, procedure e sentenze chiave

Rampe, servoscala, ascensori in condominio: quando sono dovuti e come ottenerli. Regole chiare, passaggi pratici e orientamenti dei giudici spiegati senza tecnicismi.

Vivi in un palazzo con scale ripide, un passeggino ingombrante, una caviglia infortunata, o una carrozzina che non passa. Quelle rampe mancanti e quelle porte strette non sono un dettaglio. Sono il confine tra autonomia e rinuncia. E spesso tutto si gioca in assemblea, davanti a un verbale e a una firma che non arriva.

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Obbligo di rimozione delle barriere architettoniche nei condomini: normative, procedure e sentenze chiave Qnm.it

Dietro le scelte di ogni condominio c’è una domanda concreta: si può pretendere l’abbattimento degli ostacoli? Chi paga? Si può dire no per “decoro” o per abitudine? L’esperienza di molti stabili anni ’60 lo mostra bene: niente ascensore, pianerottoli esigui, spazi comuni sacrificati. Eppure esistono soluzioni tecniche compatte, come un servoscala o una piccola piattaforma, che cambiano la vita in un pomeriggio. Il nodo non è tanto il “come”, ma il “chi decide”.

Il quadro giuridico

Il quadro giuridico è chiaro. La Legge 13/1989 impone di favorire la rimozione delle barriere architettoniche negli edifici privati. L’assemblea può approvare le opere con le maggioranze “ordinarie” previste dall’art. 1136, comma 2, c.c. (non serve l’unanimità). Se l’assemblea non delibera entro tre mesi dalla richiesta, oppure rifiuta senza valide ragioni, la persona interessata può installare a proprie spese dispositivi come rampe, ascensori interni o esterni, piattaforme e montascale, purché non si pregiudichi stabilità, sicurezza e uso degli altri. Lo dice la legge; lo confermano molti giudici.

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Il quadro giuridico Qnm.it

Le regole tecniche esistono e sono precise. Il D.M. 236/1989 definisce requisiti minimi, ingombri e pendenze per garantire accessibilità. I progettisti li conoscono e li applicano, spesso con soluzioni su misura che rispettano il decoro e preservano il passaggio. Serve un titolo edilizio adeguato (CILA o SCIA, a seconda del caso) e un progetto che dimostri la compatibilità con le parti comuni. Informazioni aggiornate sono disponibili su Normattiva e Gazzetta Ufficiale.

La prassi in tre mosse

  • L’interessato invia all’amministratore una richiesta formale con proposta tecnica e preventivo.
  • L’assemblea condominiale discute e vota. La maggioranza segue la regola semplificata prevista per l’eliminazione delle barriere.
  • Se non c’è delibera nei tre mesi o c’è un diniego non motivato su rischi reali, l’interessato può procedere a proprie spese, senza ledere i diritti altrui. Gli altri condomini possono aderire dopo, contribuendo ai costi.

Le decisioni della Corte di Cassazione

Le decisioni della Corte di Cassazione hanno tracciato una linea netta. I giudici qualificano l’installazione dell’ascensore come “innovazione legittima e socialmente utile”. Il “no” per ragioni estetiche cede quando l’opera non compromette sicurezza e non impedisce l’uso degli spazi a chi non ne beneficia. Anche una riduzione moderata del vano scala può risultare ammissibile se resta la fruibilità per tutti. Non c’è diritto di veto se la richiesta è proporzionata e tecnicamente corretta.

Sul fronte economico

Sul fronte economico esistono detrazioni fiscali dedicate all’accessibilità (il cosiddetto “bonus barriere”). Le aliquote e le scadenze cambiano nel tempo. Per evitare errori, verifica le regole vigenti sul sito dell’Agenzia delle Entrate. In caso di approvazione assembleare, la spesa si ripartisce in base ai millesimi; se l’opera è a carico del singolo, paga chi la richiede, con possibilità per gli altri di subentrare in seguito.

Un consiglio operativo

Un consiglio operativo? Portate in assemblea un progetto che mostri alternative, impatti, costi e tempi. La trasparenza riduce i conflitti. E magari chiedete un sopralluogo congiunto: spesso vedere dove passa una rampa vale più di cento parole. In fondo, l’obbligo di rimuovere le barriere architettoniche non è solo una norma: è un patto di convivenza. Quanto siamo disposti, come comunità, a spostare di pochi centimetri un corrimano per guadagnare metri di libertà?

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