Sempre più under 35 lasciano il lavoro e cercano fortuna all’estero. I numeri Istat confermano il trend: salari stagnanti, poca prospettiva e voglia di scappare.
L’Italia è diventata la terra promessa per decine di migliaia di lavoratori che arrivano dall’estero e che in pochi anni sono riusciti a colmare un vuoto che cominciava a farsi pesante: quello dei lavori che gli italiani non volevano più fare…

Ma alla stessa maniera si è creata una intera generazione di giovani che hanno studiato a lungo e stanno faticando a trovare soddisfazione in un mercato del lavoro sempre più al ribasso e schiacciato da tasse e scarse opportunità.
I giovani e il lavoro: dati preoccupanti
I dati forniti dall’Istat sono in queste ore oggetto di discussione. E certamente non sono dati incoraggianti. Nel 2024 si è toccato un picco storico: oltre 1.6 milioni di giovani sotto i 35 anni hanno lasciato volontariamente il proprio impiego. Lo dicono i dati Istat contenuti nel Rapporto Annuale 2025. Il dato è significativo, perché si inserisce in un trend in costante crescita già dal 2021. Una fuga silenziosa, ma costante, che mette a nudo i limiti strutturali del mercato del lavoro italiano.
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Il fenomeno è stato definito da Bankitalia come “la sindrome delle dimissioni senza ritorno”: chi lascia, spesso lo fa per cercare condizioni migliori all’estero o per abbandonare settori sottopagati e privi di tutela. Le cause sono sempre le solite: salari bassi, carichi eccessivi, nessuna possibilità di crescita.
Salari bassi e insoddisfazione lavorativa
Secondo le ultime rilevazioni, il salario medio netto di un under 30 italiano è inferiore del 25% rispetto a quello dei coetanei europei, rispetto ad alcuni paesi per lo stesso lavoro in Italia si lavora almeno un terzo in più guadagnando la metà. Il confronto con Inghilterra, ma soprattutto Germania e paesi del nord (Danimarca, Svezia, Norvegia) è avvilente.
In alcune aree del Sud, si scende sotto i 900 euro al mese per lavori full time, mentre anche al Nord la situazione non migliora per molti impieghi del terziario.
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A pesare è anche la scarsa valorizzazione del titolo di studio: chi ha una laurea guadagna appena il 10% in più rispetto a un diplomato, con picchi negativi nei settori dell’istruzione e della cultura. L’effetto è un misto di frustrazione e rifiuto. I giovani che lasciano il lavoro commentano con un significativo… “non ne vale la pena…”
Giovani e lavoro, fuga all’estero
Tra i 25 e i 34 anni, un giovane italiano su sei ha dichiarato di voler emigrare per motivi economici, secondo l’Osservatorio Nazionale sulle Migrazioni. Germania, Paesi Bassi, Irlanda e Canada sono le mete più gettonate. Molti di loro sono altamente qualificati, con titoli STEM o con esperienza in ambito sanitario, tecnologico o ingegneristico.
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Il risultato? Un impoverimento umano e professionale che colpisce in particolare il Mezzogiorno, ma che sta ora investendo anche grandi città come Roma, Torino e perfino Milano, dove il costo della vita ha superato di gran lunga la soglia di sostenibilità per chi guadagna meno di 1.200 euro netti.

Il caso Milano: affitti, stipendi e precarietà
Nel capoluogo lombardo la situazione è paradigmatica. Affitti alle stelle, con stanze singole ormai sopra i 700 euro e monolocali a oltre 1.200 euro. Ma i contratti di lavoro, soprattutto nel mondo della comunicazione, della ristorazione e del design, restano a tempo determinato, spesso sotto forma di interminabili stage, con compensi ben al di sotto delle aspettative.
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L’effetto è una pressione continua sui giovani lavoratori, che spesso vivono in condizioni di semi-povertà pur avendo impieghi stabili. Chi può, parte: destinazione Berlino, Amsterdam, Barcellona, Londra, Dublino. Oppure torna ai paesi di origine, rinunciando al sogno della grande città. Se non altro vive risparmiando a casa dei genitori. E questo comporta ovviamente conseguenze sociali: sempre meno coppie sposate, sempre meno figli o comunque in etrà sempre più avanzata.
Giovani e lavoro, cosa chiedono gli Under35
Non è solo una questione di soldi. I giovani italiani chiedono riconoscimento, tempo libero, possibilità di formazione continua, un equilibrio tra vita e lavoro. I dati parlano chiaro: il 61% dei dimissionari firma la lettera per mancanza di prospettive, non per offerte più ricche. La parola chiave è dignità. Quasi sempre gli esempi parlano di capi che non formano, che non delegano, che non riconoscono alcuna capacità ai propri dipendenti più giovani in aziende immobili sotto l’aspetto dell’evoluzione.
Molti giovani lavoratori sono pronti ad accettare stipendi anche inferiori alla media europea, purché il lavoro sia flessibile, sensato, sostenibile. Ma in Italia, complici un sistema produttivo ancorato al passato e una politica del lavoro poco lungimirante, si resta ancora fermi a logiche novecentesche.
Il rischio, ormai evidente, è quello di perdere un’intera generazione. E con essa, la capacità stessa del Paese di rinnovarsi.