Una notte cruciale per il Medio Oriente, gli Stati Uniti hanno colpito tre siti nucleari in Iran, entrando di fatto nella guerra iniziata da Israele. Le bombe sganciate dai B-2 americani su Fordow, Natanz ed Esfahan aprono uno scenario imprevedibile. Trump conferma l’intervento, Teheran promette vendetta. E il mondo trattiene il respiro.
La notte della guerra globale. Gli Stati Uniti hanno ufficialmente fatto il loro ingresso nel conflitto tra Iran e Israele, colpendo tre dei principali siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz ed Esfahan. Lo hanno fatto utilizzando i bombardieri stealth B-2, decollati probabilmente dalle basi di Guam o Diego Garcia, armati con bombe bunker-buster progettate per penetrare in profondità a molte decine di metri nel cuore delle installazioni sotterranee.

Si tratta di un passaggio storico, che segna la prima operazione diretta delle forze armate statunitensi contro il programma nucleare iraniano. Le parole del presidente Donald Trump, affidate a Truth Social poche ore dopo, non lasciano spazio a dubbi: “Missione compiuta. Tutti i nostri uomini sono tornati in sicurezza. L’Iran deve capire che non tollereremo una minaccia atomica contro Israele o contro l’Occidente.”
Stati Uniti in guerra, le strutture colpite
Gli obiettivi scelti dagli americani non sono casuali: Fordow è l’impianto più protetto del programma nucleare iraniano, nascosto all’interno di una montagna in un reticolo di cunicoli che raggiungono a oltre 60 metri di profondità.
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Natanz rappresenta il cuore delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, mentre Esfahan è noto per la lavorazione dell’uranio metallico. I danni inflitti sembrano gravi: fonti militari parlano di blackout strutturali, esplosioni sotterranee e possibili perdite di materiale altamente radioattivo.
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Teheran ha reagito immediatamente con un comunicato durissimo del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, annunciando “una risposta proporzionata e devastante”. L’Ayatollah Khamenei, rimasto finora in silenzio pubblico e apparentemente nascosto in una località imprecisione ha affidato un messaggio scritto alla tv nazionale definemdp l’attacco americano “un atto di guerra che non resterà impunito”.
Casa Bianca spaccata
L’intervento statunitense è stato tutt’altro che indolore anche sul fronte interno. La Casa Bianca si è spaccata: se Donald Trump ha deciso di colpire accondiscndendo le pressioni del premier israeliano Netanyahu, il suo vicepresidente JD Vance e il segretario alla Difesa Pete Hegseth pare si siano opposti fermamente all’attacco, tenendo vede al programma elettorale di Trump che aveva sempre professato la propria contrarietà a qualsiasi iniziativa militare “se non aggrediti”.
E infatti la replica apre a una crisi interna: “Questa guerra non è la nostra – ha detto Hegseth ai suoi collaboratori – e ora rischiamo un conflitto globale.”
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Tuttavia, la pressione esercitata da Israele si è fatta insostenibile. Secondo indiscrezioni, durante una telefonata riservata, Netanyahu avrebbe chiesto a Trump un intervento rapido: “Abbiamo giorni, non settimane. Se non intervenite ora, la finestra si chiude” avrebbe detto il premier israeliano al presidente USA secondo una ricostruzione del New York Times. Una frase che ha avuto il peso decisivo, considerando anche la posta elettorale in gioco per il presidente.
Lo scenario internazionale si infiamma
Nel frattempo, la diplomazia internazionale tenta invano di ricucire. L’Egitto, con il presidente Al-Sisi, ha proposto la ripresa dei colloqui multilaterali sul modello dell’accordo sul nucleare del 2015. Ma l’Iran ha chiuso ogni possibilità di negoziato, almeno finché gli Stati Uniti non ritireranno le loro forze e non cesseranno i bombardamenti.
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Dalla Russia e dalla Cina sono arrivati appelli al dialogo, ma anche duri avvertimenti: Mosca ha minacciato di “rivedere la propria postura strategica” in Medio Oriente, mentre Pechino ha convocato d’urgenza l’ambasciatore americano. Nella regione del Golfo, Arabia Saudita ed Emirati Arabi sono in stato di massima allerta, temendo che il conflitto possa presto travolgere anche i loro territori.

La reazione dell’Iran: è solo l’inizio?
Il timore più concreto è che l’Iran possa rispondere non solo con missili convenzionali, ma attraverso i suoi proxy regionali: gli Houthi in Yemen, Hezbollah in Libano, le milizie sciite in Iraq. Gli Stati Uniti hanno già rafforzato la presenza navale nel Mar Rosso e nel Golfo Persico, temendo nuovi attacchi alle rotte commerciali.
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Aumenta anche il rischio di sabotaggi, cyberattacchi e attentati in territori alleati dell’Occidente. Il Mossad e la CIA sono in stato di allerta, e a Tel Aviv così come a Roma e Parigi sono stati rafforzati i dispositivi di sicurezza attorno alle ambasciate e ai luoghi sensibili.
Ipotesi di escalation
La portata dell’intervento americano va ben oltre l’azione militare. È un messaggio chiaro all’Iran, ma anche alla comunità internazionale. Washington ha deciso di non rimanere più in disparte, anche a costo di trascinare sé stessa e i suoi alleati in una guerra aperta. Un conflitto che, secondo molti analisti, potrebbe durare mesi e non garantire comunque la neutralizzazione completa del programma nucleare iraniano.
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Per Israele, l’intervento americano diventa una svolta attesa e forse necessaria. Mentre per l’Iran, diventa un casus belli. Per l’Europa, si prospetta uno scenario da incubo: crisi energetica, instabilità alle porte, rischio di nuove ondate migratorie. Per il mondo, un ritorno all’incubo della guerra globale per procura, con attori nucleari coinvolti.
Ore decisive
L’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto israelo-iraniano segna un punto di non ritorno. Quello che fino a ieri sembrava limitarsi a uno scontro bilaterale, oggi è diventato una guerra regionale con implicazioni globali. Il bombardamento dei siti nucleari è stato chirurgico, ma il conto geopolitico potrebbe essere ben più esteso e imprevedibile. Nelle prossime ore, tutto dipenderà dalla risposta dell’Iran che potrebbe scatenare anche le temutissime celle terroristiche dormienti. E il mondo guarda con crescente preoccupazione verso Teheran, Washington e Gerusalemme, in attesa della prossima mossa.