Nelle ultime ore il conflitto Iran‑Israele sembra sempre sul punto di accelerare in modo drammatico: Teheran minaccia di colpire basi occidentali, Israele intensifica gli attentati mirati e Trump valuta un attacco su uno dei siti nucleari iraniani più protetti. Le diplomazie si muovono a Ginevra, ma la tensione cresce anche per un possibile piano iraniano di attentato contro Trump. Tra omicidi selettivi, sirene a Haifa e scenari regionali in evoluzione, lo spettro di una guerra più ampia appare sempre più concreto.
In una mossa che sembra allargare il perimetro del conflitto, il portavoce del governo iraniano ha avvertito che, qualora l’Occidente fosse coinvolto in azioni contro Teheran, potrebbero diventare obiettivi anche basi statunitensi, britanniche o francesi nel Medio Oriente.
Lo scenario di un conflitto diretto tra potenze sta prendendo forma, con il rischio che l’Europa stessa venga trascinata in un’escalation militare più ampia.
Sul versante israeliano, continuano i raid mirati contro vertici militari e scientifici iraniani. Secondo fonti di intelligence, ndall’attacco del 13 giugno sono stati eliminati numerosi alti comandanti dell’esercito itaniano, alcini scienziati del programma nucleare. L’operazione denominata Rising Lion ha colpito centinaia di obiettivi in tutto il territorio iraniano, causando gravi danni a infrastrutture strategiche.
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Teheran ha risposto con una nuova ondata di attacchi missilistici su Haifa, Tel Aviv e Be’er-Sheva. Un missile ha colpito il Soroka Medical Center, che per altro era stato in gran parte già vacuato provocando comunque alcuni feriti. L’uso di armi non convenzionali, come testate cluster e bombe a grappolo, ha riacceso la polemica sull’uso di strutture sanitarie come obiettivi bellici.
Fonti statunitensi rivelano che l’ex presidente Trump starebbe considerando un attacco al sito nucleare sotterraneo di Fordow, con l’utilizzo di bombe bunker-buster, ordigni in grado di penetrare a notevoli profondità.
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Il raid, se autorizzato, segnerebbe una svolta decisiva e rischierebbe di estendere il conflitto olteìre livello regionale. Trump ha già respinto proposte israeliane di colpire direttamente Khamenei, ma ha ammesso che “tutte le opzioni sono sul tavolo”.
Intorno all’Ayatollah Khamenei si intensificano le pressioni. Oltre ai raid e alle perdite militari, il regime affronta tensioni interne, blackout informatici e proteste nelle principali città. L’immagine del leader supremo, storicamente granitica, appare oggi più fragile.
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La capacità del regime di reggere questa nuova ondata di crisi sarà determinante. Fortissima la pressione degli iraniani residenti all’estero che chiedono ai connazionali in patria di ribellarsi al regime militare e religioso degli ayatollah.
In parallelo, la diplomazia internazionale cerca una tregua. A Ginevra sono ripresi i contatti tra diplomatici iraniani ed europei, ma Teheran ribadisce che nessun dialogo è possibile sotto le bombe. L’ONU chiede un cessate il fuoco, ma il clima è cupo: le parti sembrano sempre più lontane da un compromesso e sempre più orientate al confronto diretto.
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Milizie sciite irachene, Hezbollah in Libano e Houthi in Yemen si preparano a un possibile allargamento del conflitto. Un attacco a basi occidentali o una risposta USA potrebbero scatenare una guerra su più fronti, dal Golfo Persico al Mediterraneo. La mappa del Medio Oriente appare oggi più instabile che mai.
All’ottavo giorno di guerra, il conflitto tra Iran e Israele sembra avere superato il punto di non ritorno. Le minacce si allargano, le operazioni militari diventano più complesse e gli equilibri globali tremano. Ogni attore in campo muove i propri pezzi come in una partita a scacchi in cui non è previsto il pareggio. Se Trump colpirà Fordow, se l’Iran passerà dalle parole ai fatti contro l’Occidente, se la diplomazia non riuscirà a imporre una pausa, allora la guerra potrebbe esplodere su scala regionale. E forse anche oltre.
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