La guerra tra Israele e Iran si intensifica, con lanci di missili ipersonici, blackout informatici e nuove minacce da parte di Donald Trump. Teheran reagisce con lanci di missili che mirano a indebolire lo scudo israeliano mentre la comunitĂ internazionale tenta una mediazione sempre piĂą urgente.
Non sarà una guerra lampo. E il timore di una sua estensione con nuove parti in causa è quello che trapela dai social e dai forum on line tra fazioni estremamente divise e opinioni molto frammentarie.
Quello tra Iran e Israele è un conflitto che si aggrava di ora in ora, con un crescendo di minacce, risposte militari, sabotaggi e dichiarazioni che lasciano sempre meno spazio alla diplomazia.
Entrata ormai nel pieno di una fase esplicitamente bilaterale, la sfida tra Teheran e Tel Aviv è diventata lo scenario più critico in Medio Oriente degli ultimi vent’anni. Dopo l’operazione “Rising Lion” lanciata da Israele con una serie di bombardamenti mirati ai centri nucleari e militari iraniani, Teheran ha risposto con ondate di missili balistici e, secondo quanto affermato dalle autorità iraniane, con il primo utilizzo operativo di missili ipersonici.
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Nel frattempo, a gettare benzina sul fuoco, è intervenuto anche Donald Trump, che ha chiesto la “resa incondizionata” dell’Iran, arrivando a dichiarare di sapere esattamente dove si trovi l’ayatollah Khamenei e di aspettare la sua resa: “Per ora non lo uccideremo”, ha detto poche ore fa il presidente americano. Una frase che ha provocato la durissima reazione della guida suprema iraniana, la quale ha replicato: “Non ci arrenderemo mai. La nostra battaglia è appena cominciata”.
Con l’attacco israeliano del 13 giugno, che ha colpito più di cento obiettivi sensibili sul territorio iraniano, il conflitto ha fatto un salto di qualità . Israele ha dichiarato di aver preso il controllo parziale dello spazio aereo iraniano e di aver colpito in modo pesante le strutture strategiche di Natanz, Karaj e Isfahan, dove secondo Tel Aviv si stavano sviluppando nuovi componenti per arricchire uranio. In queste operazioni sarebbero morti numerosi ingegneri nucleari, funzionari dell’IRGC e alti ufficiali delle forze armate.
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La risposta iraniana non si è fatta attendere. Il 16 giugno, nella notte, decine di missili e droni sono partiti dal suolo iraniano con destinazione Tel Aviv, Haifa e altre località del centro Israele. Secondo le fonti militari israeliane, l’Iron Dome ha intercettato la maggior parte dei vettori, ma almeno cinque persone sono rimaste uccise e oltre trenta ferite. Stessa scena la scorsa notte con i missili che hanno segnato con i loro traccianti i cieli di Israele, squarciate dal suono delle sirene. Dalle immagini live, molte delle quali diffuse sui social, si sono notate anche alcune esplosioni a terra.
Tra i vettori utilizzati da parte iraniana, ci sarebbero anche i missili ipersonici Fattah-1, giĂ mostrati da Teheran nel 2023 ma mai impiegati fino a ora.
Il Pentagono, da parte sua, ha rafforzato la presenza navale nel Golfo Persico e ha alzato lo stato di allerta delle basi USA in Medio Oriente, ma non ha ancora confermato un coinvolgimento diretto, almeno per ora. Tuttavia, più fonti suggeriscono che l’opzione militare non è affatto esclusa, soprattutto se Teheran dovesse colpire obiettivi civili o americani.
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Sui social nelle ultime ore si sono diffuse moltissime notizie che parlavano di un’intensificazione delle manovre americane sia nelle basi USA che in quelle Nato in Europa. Inclusa quella di Aviano, strategicamente fondamentale nello scacchiere delle attuali operazioni.
In un discorso trasmesso in diretta alla nazione, Ali Khamenei ha respinto ogni ipotesi di resa, accusando Israele di crimini contro l’umanità e gli Stati Uniti di “istigare al caos per piegare la volontà iraniana”. Il leader ha definito Trump “un codardo con un megafono” e ha promesso che ogni attacco sarà vendicato. Ha inoltre invocato la tradizione martirica dell’Islam sciita, in una retorica che evoca la battaglia di Karbala e rafforza l’immagine di resistenza ad oltranza.
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A Teheran sono state sospese per diverse ore le connessioni internet e >anche l’uso dei social media è stato drasticamente limitato: una misura interpretata come un tentativo di contenere proteste e fuga di informazioni. Al contempo, secondo l’intelligence occidentale, l’Iran avrebbe attivato anche cyber-unità per colpire infrastrutture energetiche e digitali israeliane e statunitensi.
Mentre le bombe cadono e i droni attraversano il cielo, una seconda guerra, meno visibile ma altrettanto influente, si combatte online. I social network sono invasi da video, foto, audio e dichiarazioni non sempre verificabili. Alcuni contenuti drammatici vengono rilanciati da migliaia di utenti, salvo poi rivelarsi materiali d’archivio o peggio ancora, completamente ricreati grazie all’intelligenza artificiale generativa.
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Numerosi video circolati negli ultimi giorni che mostravano lanci di missili su Tel Aviv o bombardamenti a Teheran sono stati smascherati come deepfake o modifiche digitali di immagini preesistenti. Questa dinamica sta generando enorme confusione nell’opinione pubblica, alimentando sia la propaganda sia lo scetticismo. Alcuni contenuti falsi sono stati ripresi persino da organi di stampa meno rigorosi, contribuendo alla polarizzazione e al panico.
Twitter/X, TikTok, Instagram e Telegram sono al centro di questa battaglia dell’informazione, che rischia di offuscare la reale portata degli eventi e di minare gli sforzi di mediazione. Mentre le diplomazie faticano a trovare uno spiraglio, l’ecosistema digitale diventa un campo minato, dove la verità è una delle prime vittime del conflitto.
Sul fronte diplomatico, il rischio di un allargamento del conflitto è altissimo. L’Arabia Saudita, attraverso una nota del Ministero degli Esteri, ha invitato alla “massima moderazione” e ha proposto la convocazione urgente di una conferenza di pace. Qatar e Oman, storici mediatori, si sono offerti per un tavolo negoziale a Ginevra sotto l’egida dell’ONU. La Russia ha espresso solidarietà all’Iran sconsigliando azioni “controproducenti” come l’uccisione di Khamenei, mentre la Cina si è detta “preoccupata” per le ripercussioni economiche globali.
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L’Unione Europea ha chiesto un immediato cessate il fuoco, con la presidente della Commissione che ha parlato di “crisi che minaccia la stabilità dell’intero bacino mediterraneo”. Intanto, la diplomazia americana continua a restare ambigua: da un lato si appella alla moderazione, dall’altro mantiene attiva la macchina bellica.
A meno di una svolta diplomatica in tempi brevissimi, il conflitto rischia di protrarsi e intensificarsi. I costi, per tutti gli attori coinvolti, sono già altissimi: Israele spende oltre 700 milioni di dollari al giorno per sostenere l’apparato militare, mentre in Iran le sanzioni internazionali, la pressione militare e la crescente instabilità interna rischiano di generare una crisi umanitaria senza precedenti.
Il rischio più grande, però, è che la guerra si trasformi in uno scontro regionale generalizzato, con il coinvolgimento di Hezbollah, dei gruppi sciiti iracheni, e potenzialmente anche della Siria e dello Yemen. In un simile scenario, la crisi israelo-iraniana potrebbe diventare la scintilla per un incendio globale molto più intenso e rischioso La finestra per fermarlo è ancora aperta, ma sempre più stretta.
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