Si fa sempre più grave la situazione di tensione tra Israele e Iran dopo che nella notte alcuni missili provenienti da Teheran e dallo Yemen hanno superato gli sbarramenti israeliani e colpito sia Tel Aviv che Gerusalemme.
Quando giovedì Israele ha dato vita alla cosiddetta “Operation Rising Lion”, molti analisti avevano già previsto che si trattasse di qualcosa di più di un semplice raid limitato.
Era, di fatto, l’inizio di una nuova fase in cui due Stati nucleari rispondono alle rispettive provocazioni con misure militari dirette. Un’escalation che rilancia antiche tensioni e mette in allerta il mondo intero. E la situazione già grave rischia di precipitare da un momento all’altro.
La campagna aerea israeliana ha colpito almeno 150 obiettivi iraniani in meno di ventiquattro ore: danneggiati molto seriamente diversi siti nucleari a Natanz, Fordow, Isfahan e Arak, colpite basi missilistiche, centri di comando dell’IRGC e gasdotti strategici.
Secondo fonti ufficiali, oltre 70 responsabili militari iraniani – fra cui anche il comandante dei Guardiani della Rivoluzione Hossein Salami – sono rimasti uccisi, insieme a decine di scienziati nucleari e almeno 60 civili, tra cui anche bambini. I blackout internet e i focolai nei giacimenti di gas e petrolio hanno riproposto lo spettro di un conflitto economico e informatico su vasta scala
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Ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto capire che non si tratta di uno scontro a esaurimento e nemmeno di un’azione destinata a concludersi in tempi brevi: “Abbiamo solo iniziato. Colpiremo ogni sito e ogni obiettivo del regime degli Ayatollah – ha affermato il capo del governo di Tel Aviv in un videomessaggio – quello che hanno sentito finora non è niente rispetto a quello che riceveranno nei prossimi giorni”. Poi, in un altro passaggio, Netanyahy ha voluto sottolineare il sostegno americano: “Abbiamo aggiornato gli Stati Uniti in anticipo. Loro lo sapevano. Cosa faranno ora? Lascio che lo decida il presidente Trump. Lui è una persona di parola che decide con fermezza” .
La risposta di Teheran non è tardata a farsi sentire: nell’arco delle successive 48 ore, l’Iran ha lanciato oltre 100 missili balistici e una raffica di droni verso obiettivi israeliani. Tel Aviv, Haifa, Bat Yam e Gerusalemme sono rimaste intrappolate sotto ondate di sirene e attacchi, con almeno una dozzina di civili uccisi – inclusi bambini – e centinaia di feriti. A Bat Yam, un missile ha colpito un condominio, causando decine di vittime e numerosi dispersi.
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Ma oltre alla vendetta militare, l’Iran ha scelto la via dell’intimidazione. Il ministro degli Esteri iraniano ha avvertito che, se Stati Uniti, Regno Unito o Francia dovessero intervenire direttamente, le basi occidentali nell’area del Golfo sarebbero considerate obiettivi legittimi .
Una figura fondamentale in questo nuovo capitolo è Donald Trump, che – da Washington – ha scelto un approccio a metà strada fra applausi e avvertimenti. In una telefonata di circa un’ora con Vladimir Putin, l’ex presidente ha dichiarato di essere certo che “questa guerra fra Israele e Iran dovrebbe finire”, invitando anche Putin a far terminare il conflitto in Ucraina. E, rivolgendosi proprio ai leader iraniani, ha aggiunto: “Siamo a conoscenza della vita nel vostro paese, abbiano tentato più volte di salvaguardare l’Iran dalla morte e dall’umiliazione di un regime repressivo. Possono ancora cambiare, non è troppo tardi”, ha detto dalla Casa Bianca Trump augurandosi probabilmente una sollevazione popolare contro il regime degli ayatollah.
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Ma il messaggio non è solo di distensione: in un’intervista ad ABC News, Trump ha parlato di un’intesa strategica con Netanyahu, definendo gli attacchi israeliani “eccellenti” e aggiungendo che ci sia molto altro in arrivo. Poi, in chiusura, non Trump ha escluso un ricorso alla diplomazia: “Potrebbe ancora avvenire un incontro a Oman domenica”.
Ma oggi gli inviati americani non troveranno nessun esponente del governo iraniano che ha deciso di disertare l’appuntamento.
In Israele, la popolazione si è riscoperta in guerra: rifugi antiaerei attivi, scorte di emergenza e una consapevolezza nuova della minaccia. Il premier Netanyahu ha ammesso la necessità di una resistenza psicologica prolungata: ha suggerito che i cittadini potrebbero dover “restare in rifugi a lungo, molto più di quanto siamo abituati fino ad ora” .
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Anche a Teheran, l’impatto delle operazioni israeliane è stato devastante: quartieri residenziali danneggiati o distrutti, blackout diffusi e un senso crescente di vulnerabilità fra le famiglie colpite. I media locali riportano almeno 60 morti, fra cui bambini, solo a causa del crollo di edifici residenziali.
Sul piano internazionale, la reazione è divisa: mentre Stati Uniti, Regno Unito e Francia chiedono cautela e un rientro alla diplomazia, paesi come la Russia hanno espresso forte preoccupazione. Il Cremlino ha condannato Israele; Londra ha intensificato le allerte di viaggio e dispiegato mezzi aerei nel Mediterraneo; Parigi, Berlino e l’UE invocano il rilancio dei negoziati sul nucleare iraniano.
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Per ora, le trattative nucleari, che avrebbero dovuto riprendere a Oman il weekend successivo, sembrano ostaggio dell’offensiva israeliana. La diplomazia mediatica di Trump porta a credere che esista ancora un canale aperto, ma l’Iran ha già fatto sapere che non continuerà le trattative finché le bombe non taceranno.
Il coinvolgimento di milizie alleate come i ribelli Houthi in Yemen, che hanno già lanciato missili verso Israele, spinge molti analisti a parlare di un conflitto destinato a estendersi su una scala più ampia. Non è più una ipotesi remota che la guerra tra Israele e Iran apra una pagina nuova nel puzzle mediorientale, coinvolgendo in maniera attiva anche altri protagonisti.
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