Quarant’anni di carriera intransigente nel mondo del punk e della musica alternativa, i Killing Joke hanno suonato domenica sera niente meno che alla Royal Albert Hall un concerto storico
I Killing Joke sono quello che si dice una band di nicchia. Chi li conosce li ama da sempre per il loro percorso coerente e intransigente in termini musicali e di contenuto. Ma in Italia a seguirli sono poche centinaia di persone.

Diverso il discorso all’estero dove la band, scheggia impazzita del punk che tendeva verso il dark, l’industrial e il primo cross-over alternativo, ha fatto vittime illustri. Dave Grohl dei Foo Fighters, ha suonato con loro in diverse occasioni e li ha definiti un grande motivo di influenza. Così come Metallica, Soundgarden, Nine Inch Nails, Placebo, Faith no More.
Killing Joke, il punk non è morto
I Killing Joke da sempre sono contro. Contro l’establishment discografico, la stampa, il consumismo. Sono dichiaratamente anti-monarchici, più a sinistra della sinistra in una posizione quasi anarchica che li rende una vera e propria imprevedibile scintilla in un sistema tradizionalista.
Hanno inciso album storici di enorme influenza rifilando a ogni disco feroci e aggressive analisi rivolte a qualsiasi istituzione politica: Thatcher, Bush, USA, Vaticano, banche, multinazionali… Un vero nemico pubblico in un mondo che si stava evolvendo verso la globalizzazione.
Non hanno mai fatto un passo indietro: talmente tanto in trincea che a un certo punto il mercato li ha letteralmente emarginati. E loro si sono prodotti e distribuiti i dischi autonomamente. E solo negli ultimi tempi la loro posizione si è ammorbidita. Soprattutto perché la cultura inglese nel frattempo li ha sdoganati.
Jaz Coleman
Leader e fondatore del gruppo è il visionario Jaz Coleman, 63enne musicista geniale e controverso. Studi classici. Suona pianoforte e violino. Ha diretto l’opera di Praga, scritto opere liriche, inciso arrangiamenti per grandi orchestre. Si è disegnato e costruito la casa. Appassionato di cucina piccante ha depositato e messo in venduta una salsa hot quanto la sua musica e alcune tortillas micidiali. Ha scritto uno splendido libro (Letters from Cythera). Gira il mondo, soprattutto se lo chiamano a comporre e suonare. Ultimamente a Ginevra, dove ha riarrangiato i classici dei Led Zeppelin con l’orchestra classica Suisse Romande.
Un artista globale che, presentando una delle sue composizioni più grandiose (Hosannas from the basment of hell) disse…. “Sono un punk, posso adattarmi a fare qualsiasi cosa. Ho diretto orchestre, scritto un’opera commissionata dalla regina, ho dormito in grandi e lussuosi alberghi e in bettole. Quando devo comporre uso la musica classica, ma se devo sfogare i miei istinti scrivo per i Killing Joke. É la mia catarsi, diversamente sarei un serial killer…” E infatti in quel disco, che descrive il mondo come l’anticamera dell’inferno il giorno prima dell’Apocalisse dice… “nonostante tutto non sono un assassino. Per ora…”

Nel salotto di Sua Maestà
Domenica i Killing Joke sono stati invitati per una sera soltanto nel salotto buono del grande nemico, la Royal Albert Hall di Londra. Un po’ come se Marilyn Manson suonasse all’udienza di Papa Francesco. Nella meravigliosa sala da concerto di Kensington hanno suonato tutti i loro primi due album (l’eponimo Killing Joke e What’s this for?) di fronte a una platea nostalgica ed entusiasta.
La Royal Albert Hall invasa da punk anni ’80. Sembra uno scherzo, un contrasto davvero fortissimo di fronte al quale la band non ha fatto sconti. Brani durissimi in una scaletta di violenza inaudita che parte con Requiem e prosegue con tutti i loro brani più tetri, nichilisti e aggressivi: The Wait, Wardance, Butcher, Unspeakable, Tension, Madness, Complications. Non concedono nessuno dei singoli che li hanno resi popolari e radiofonici negli anni ’80, nemmeno uno. Per chiudere con una versione dirompente di Pssyche. Venti canzoni, 100 minuti, unica data dell’anno. Forse anche l’ultima nel tempio della musica dell’impero britannico.
Inossidabili
Un’occasione più unica che rara per omaggiare un gruppo straordinario che continua a fare musica con la band originale, nonostante alcuni cambi di formazione. A Coleman e al chitarrista Geordie Walker si sono di nuovo affiancati Paul Ferguson, il batterista che è rientrato nella band dal 2008 e Youth, bassista e fondatore del gruppo ma anche geniale produttore che ha fatto i soldi dando vita a singoli e band di successo (Take That, Wet Wet Wet, The Verve) collaborando con Guns and Roses, U2 e INXS in un curriculum mostruoso.
Youth è rientrato nel gruppo dopo la scomparsa di Paul Raven, l’amico bassista che lo aveva sostituito, scomparso improvvisamente a causa di un attacco cardiaco nel 2007. Coleman dedicò all’amico scomparso The Raven King una delle sue opere classiche più belle e commoventi.
Punk not dead: scrivevano all’alba del terzo millennio sui muri di Londra i reduci dell’ondata che doveva distruggere tutto e che invece si erano omologati. A giudicare dal pubblico e dal palco della Royal Albert Hall il punk non è decisamente morto. Anzi… lo hanno fatto entrare in salotto.
L’omaggio della Royal Albert Hall alla band dopo lo show