Alestorm, la ciurma pirata di beoni conquista l’Alcatraz – Video

Nella ridda di concerti di valore assoluto che sta invadendo il nostro paese ci sono capitoli che meritano di essere raccontati a parte, come quello che riguarda gli Alestorm

C’è un angolo di Jamaica e Bermuda in Europa. Anche se non bevono rum ma birra doppio malto e whisky fatto in casa. Anche se non parlano patois e le loro canzoni suonano celtiche con testi un po’ inquietanti.

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Gli scozzesi Alestorm, sette album in quasi venti anni di attività – QNM

Dalle loro parti, in Scozia, si fa surf. Anche se il Mar del Nord impedisce qualsiasi idea di affrontare le onde senza una muta seria. Rischio il congelamento. Ma nell’insenatura che penetra tra Dundee e Perth, estuario del Tay, costa orientale scozzese, capita di trascorrere serate che sembrano ritagliate per sbaglio dalla storia del ‘700. Nelle bettole vicino al porto si parla in un inglese incomprensibile e biasciato male, di tempeste, pirati, pesche miracolose e sbronze. Colossali sbronze di gruppo dove birra e whisky rendono tutti un po’ più uguali e democraticamente idioti.

Alestorm, pirati beoni ma buoni

A Perth, nel 2004, nasce una band che definire strana è dir poco. Si chiamano Alestorm, letteralmente ‘tempesta di ale’, il classico sistema di fermentazione della birra che da quelle parti si impara fin da quando si inizia a camminare. Prima ancora che a leggere e scrivere. Vorrebbe essere una band metal: ma usano le tastiere e la keytar che imitano il suono delle fisarmoniche. I ritmi sono più punk che speed e tutto si trasforma in un gigantesco casino che sa di festa, confusione e commistione alcolica e anarchica che solo chi ha vissuto qualche giorno a quelle latitudini può capire e magari raccontare.

Band atipica e bizzarra

Intorno a Christopher Bowes – leader, cantante e fondatore della band – si cementano ottimi musicisti che danno vita a qualcosa di davvero strano e nuovo. Soprattutto per noi italiani. Così abituati a etichettare tutto, anche quello che non si può etichettare.

A pochi mesi dalla festa per il loro ventesimo anno di esistenza gli Alestorm passano dall’Alcatraz di Milano per una data che rende bene l’idea di quello che è il loro programma: bere molto, suonare ad alto volume, fare casino e non pensare. In una scaletta di 90’ tirano fuori tutto il loro repertorio che parla di pirati, abbordaggi, donne di facili costumi, affondamenti, giganteschi cracken che inghiottono velieri. La gente partecipa simulando sessioni di voga, infuriando in un pogo festoso, cantando e ballando come se non ci fosse un domani.

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Il cantante degli Alestorm Christopher Bowes con Duckie sullo sfondo – QNM

I pirati invadono l’Alcatraz

Anche se la birra costa 8€ e nemmeno te la puoi portare da casa: cosa che in Scozia sarebbe del tutto legittima. Il loro settimo album “Seventh rum of a seventh rum” è un segnale di grande continuità di una band che con coerenza persegue un obiettivo non comune: divertirsi e divertire, suonando dal vivo con la minima attenzione possibile per il guadagno e molta attenzione a quello che succede tra il pubblico. Fare uscire la gente stanca e felice. Possibilmente ubriaca anche se è astemia.

Di questi tempi non pare poco. Sullo sfondo Duckie, un gigantesco anatroccolo giallo con banda nera sull’occhio e un ghigno inquietante. Ogni tanto Duckie lascia il rassicurante palco per pogare sulla testa della gente. Un’esperienza che merita.

Il pubblico dell’Alcatraz voga con gli Alestorm

Gli Alestorm propongono dal vivo “Fucked with an Anchor”