A distanza di 44 anni dalla loro ultima apparizione dal vivo, gli ABBA tornano insieme per Voyage, uno spettacolo virtuale difficile da spiegare ma entusiasmante
Mai visto niente del genere. Un’idea eccellente, la migliore probabilmente per chi vuole ancora un rapporto con i fan ma per questioni anagrafiche non sarebbe più in grado di esibirsi a questi livelli.

Il dibattito tra chi ritiene inopportuno definire live show uno spettacolo dove i protagonisti sono virtuali, è ai livelli di guerra di religione. Ma è innegabile che l’effetto sia straordinario. E che il pubblico ne sia assolutamente conquistato. ABBA Voyage è una delle esperienze più strane e incredibili anche per chi ha visto davvero di tutto. Concerti grandi, piccoli, immensi, festival, musical, piuttosto che le migliori tribute band.
ABBA Voyage, dov’è il trucco
Perché il dibattito è questo. Meglio una cover band somigliante o gli originali? Anche se quest’ ultimi sono trasportati fuori dalla loro condizione spazio-tempo?
Vedendo lo spettacolo non si ha nemmeno per un attimo la sensazione che quei quattro sul palco non siano Benny Andersson, Björn Ulvaeus, Anni-Frid Lyngstad e Agnetha Fältskog che oggi hanno quasi 80 anni. La più giovane, Agnetha, la bionda, ne compie 73 ad aprile. E per ammissione dello stesso Benny Andersson, geniale autore di quasi tutte le canzoni della band svedese e primo ideatore di questo show… “Ora gli ABBA non sarebbero più in grado di esibirsi, forse nemmeno di reggere la chitarra o di stare un’ora e mezza davanti alle tastiere. Abbiamo scoperto il segreto di non invecchiare mai. Per lo meno sul palco”.
Un’idea che quasi certamente sarà molto presto rapinata da band e musicisti che non hanno più voglia, tempo, possibilità di suonare dal vivo. La gente ha nostalgia. La nostalgia è un business. Basti pensare al maggior successo commerciale di tutti i tempi di Michael Jackson. Che non è più Thriller ma This is it. Il film documentario con le prove del suo ultimo spettacolo pubblicato prima al cinema e poi distribuito i milioni di copie DVD replay televisive.
Lo show è tecnologicamente mostruoso. Costruito dentro un’arena realizzata ad hoc – molto ‘svedese’, nel senso che è quasi tutto eco-compatibile e si può smontare, impacchettare e trasportare ovunque – ospita quasi 4mila persone entusiaste. Metà sulle tribune e metà in un dance-floor dove molti sono i vestiti a tema, soprattutto anni ’80. Il glitter va via come il pane: brillantini, cappelli bizzarri, piume di struzzo, pantaloni scampanati e stivali con il tacco anche per gli uomini.
Spettacolo mostruoso
La band suona dal vivo, sette musicisti e tre coriste. Davvero straordinari. I dati che riguardano il palco sono sconcertanti. Mai visto niente del genere: cinquecento punti luce mobili, 160 telecamere, quasi un milione di watt di amplificazione per 300 casse diffuse su tutta la struttura. Non sembra di sentire un CD: sembra essere dentro lo studio di registrazione con l’originale a tutto volume.
Le tecnologie video sono altrettanto impressionanti: schermi, che si allargano fino ad abbracciare la platea, luci che si alzano e si abbassano per sfiorare la testa di chi balla. E sul palco loro, gli avatar, o come li hanno ribattezzati gli ABBA-Tar. L’effetto è spiazzante. Nessuno penserebbe che quei quattro non siano gli orignali. O quantomeno sosia estremamente somiglianti. Perché sono davvero identici.
E comunque alla gente francamente importa poco. Tutti si comportano come se fossero a un concerto degli ABBA. Non c’è un posto libero. Tutto sold out per mesi con spettacoli già programmati fino a dicembre. Poi la struttura andrà in tour in tutto il mondo in un programma di date ancora da definire.
La scaletta di ABBA Voyage
Gli ABBA sono una realtà digitale che si esibisce “davanti al quinto membro della band, il pubblico”. Che è ben presente in corpo e anima. Tutti inizialmente con gli occhi fissi sulle immagini, quasi nel tentativo di scoprire il trucco del prestigiatore. Qualche immagine un po’ innaturale e meccanica si nota. Ma la grandiosità degli effetti video copre qualsiasi perplessità.
D’altronde basta che parta una qualsiasi canzone di una scaletta inattaccabile e la gente canta, balla, si è abbraccia. Chi è seduto si alza. Qualche lacrima si vede, e non sono effetti speciali.
Al bar prosecco di qualità, una dozzina di birre, drink di ogni tipo. Si entra e si esce dall’arena con bicchieri e piatti. Menu popolari per tutti i gusti. Un business che macina a occhio quasi mezzo milione di euro ogni sera. E che potrebbe andare avanti all’infinito: “Perché per fortuna siamo ancora vivi – dice Andersson – e la gente collega la nostra presenza fisica a quella sul palco. Ci vede come ci vorrebbe vedere”.
Con qualche concessione al loro primo album dopo 40 anni di silenzio Voyage, pubblicato lo scorso anno, gli ABBA presentano tutto il loro repertorio: e dunque Mamma Mia, Chiquitita, Fernando, SOS, Take a Chance on Me, Knowing Me Knowing You, Voulez-Vous… ognuna delle quali accolte da un boato e da coreografie che i fan conoscono a memoria. Mancano solo un paio di successo, Super-trouper, Money Money Money.
Commozione nel finale
Divertente la parte nella quale Björn rinfaccia al pubblico inglese di avergli dato zero punti all’Eurovision del 1974 quando si presentarono con Waterloo. Commovente la parte finale con Thank you for the Music, Dancing Queen e il bis affidato a The winner takes it all, il brano che parla dell’unico vero fallimento della band… Il divorzio delle due coppie (Benny e Frida, Bjorn e Agnetha). Al culmine del successo e del loro doppio matrimonio il gruppo si sgretolò dopo dieci anni di trionfo mondiale per dichiarare lo scioglimento nel 1982. Da tre non si esibivano più.
I quattro originali, avatar pure loro, arrivano in scena alla fine per prendersi l’applauso del pubblico. Passo un po’ malfermo, rughe. Si abbracciano e ringraziano.
É l’unico momento in cui la malinconia e la tristezza prevalgono. Era meglio prima. La gente esce dall’Arena canticchiando e ballando, per bersi un altro prosecco prima di prendere la metropolitana, e ammettere… Ammettere che era meglio prima: quando eravamo tutti un po’ più scemi.