Di chi è la colpa delle cifre record raggiunte dall’evasione fiscale in Italia? Una domanda solo in apparenza semplice. Certo i grandi colpevoli sono coloro che non pagano le tasse, ma non è che per caso ci sono anche dei complici in questo delitto che ogni anno si compie nei confronti dello Stato e della popolazione? In effetti c’è chi allarga il discorso fino a coinvolgere i commercialisti, “partner in crime” degli evasori secondo molti. I quali, infatti, arrivano a proporre addirittura la cancellazione della figura professionale.
La voragine creata dall’evasione fiscale nei conti dello Stato italiano viene stimata ad oggi in qualcosa come 120 miliardi di euro, una cifra che da sola basterebbe a sostenere le manovre dei governi. Pensateci bene: se le casse dell’erario avessero a disposizione queste somme sottratte illegalmente, con molta probabilità la pressione fiscale non graverebbe come una scure sulle spalle dei contribuenti. Quel 43% (ma secondo molti la percentuale è più alta) scenderebbe di sicuro, portando la pressione al livello delle prestazioni effettive erogate.
Evadere le tasse, oltre ad essere sbagliato moralmente, è anche un delitto nei confronti del proprio Paese. Quindi forse prima di prendersela con Equitalia, che pure ha la sua buona dose di colpe, i cittadini farebbero bene a denunciare ogni minimo episodio di evasione. Ognuno di noi almeno una volta è stato spettatore di una fattura non rilascia, di uno scontrino sbagliato. Come c’entrano i commercialisti in questo discorso? Basta individuare chi evade per capirlo.
L’evasione non arriva certo (se non in misura marginale) dai lavoratori dipendenti, che sono soggetti a trattenuta alla fonte delle tasse sulla busta paga. Certo, c’è sempre la dichiarazione dei redditi, ma non è sugli immobili o i patrimoni che l’italiano medio evade. Troppo rischioso, e allora il dito deve essere puntato contro le aziende, i commercianti e i liberi professionisti, che non hanno trattenute e anzi godono del privilegio della dichiarazione volontaria dei redditi, per la quale si affidano spesso proprio ai commercialisti.
Uno studio della Banca d’Italia ha evidenziato proprio nel meccanismo della dichiarazione volontaria il problema più grave quando si parla di evasione: “Le dichiarazioni sottostimano quasi sempre il reddito effettivo del lavoratore. Questo perché, osservano gli studiosi, si lascia al lavoratore stesso la facoltà di dichiarare quanto guadagna. Se si istituisse un meccanismo diverso di dichiarazione, simile a quello dei lavoratori dipendenti, evadere sarebbe più difficile, perché è vero che è sempre possibile un accordo, ma indubbiamente quando c’è di mezzo una terza persona è complicato falsare regolarmente i dati. I controlli, poi, non sono sufficienti e sono anche piuttosto prevedibili. Se i meccanismi di controllo e l’allocazione delle risorse fossero flessibili, (…) l’impunità non sarebbe più garantita. E la preoccupazione di essere scoperti indurrebbe gli evasori a inviare all’Agenzia delle Entrate dichiarazioni se non altro più vicine alla realtà”.
Da qui a dire che la colpa sia tutta dei commercialisti ne passa, però è indubbio che l’atteggiamento di connivenza di alcuni finisca per danneggiare l’immagine dell’intera categoria. Ormai si sprecano le battute e i luoghi comuni sui contabili del reddito, sempre alla ricerca del sotterfugio per far risparmiare i clienti. I quali si difendono accusando lo Stato vampiro, e ribaltando quindi la prospettiva. Esiste l’evasione perché le tasse sono troppo alte o le tasse sono troppo alte perché esiste un’evasione da 120 miliardi di euro? Lasciamo la risposta alla vostra intelligenza.