Inchiesta Covid Bergamo, la rabbia del procuratore Chiappani | “La gente deve sapere”

Antonio Chiappani, procuratore capo dell’inchiesta sul Covid a Bergamo, è furioso per la fuga di notizie che da ieri sera è trapelata dalla Procura mettendolo in imbarazzo. Cosa ha detto nell’intervista a Repubblica

Sull’inchiesta Covid il procuratore capo Chiappani è molto adirato. Il motivo è la fuga di notizie uscita fuori dalle stanze della Procura di Bergamo. Intervistato da Repubblica, Antonio Chiappani racconta tutto e si dice molto scocciato da quanto accaduto: “un’idea sul chi e perché lo ha fatto ce l’ho ma non la dico”.

Inchiesta covid
Inchiesta Covid Bergamo, la rabbia del procuratore Chiappani (ansa) qnm.it

Ammette che i tempi delle indagini siano stati lunghi ma, come sottolinea il pm, “sicuramente meno di quelli della politica”. Non esclude neanche che l’inchiesta possa avere un finale giudiziario, seppur “leggero”. Quello che, però, interessa al capo della Procura di Bergamo è che la gente sappia cosa sia accaduto. “A noi preme spiegare alla gente cosa è successo e cosa sarebbe potuto non succedere se non fossero stati fatti certi errori”.

L’inchiesta chiusa mercoledì scorso si riferisce alla gestione della pandemia da Covid che vede 19 persone indagate tra cui anche l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex ministro della Sanità Roberto Speranza. Poteva essere gestita diversamente l’emergenza, soprattutto se si fosse attivata la “zona rossa” nella provincia di Bergamo quella primavera del 2020.

La fuga di notizie e il danno: le parole del procuratore Chiappani nell’inchiesta Covid a Bergamo

Antonio Chiappani parla intervistato da Repubblica e racconta l’enorme danno che la fuga di notizia sull’inchiesta Covid a Bergamo ha portato all’immagine e alla credibilità della Procura stessa. “E’ stato fatto un danno a livello di immagine, perché vedere la notizia uscire prima del nostro annuncio mina la nostra credibilità. Le polemiche sono già iniziate“.

Inchiesta covid
Inchiesta Covid Bergamo, le parole di rabbia del Procuratore capo Chiappani (ansa) qnm.it

Tra le tante polemiche che stanno prendendo piede sicuramente c’è quella sulla tempistica. C’è chi ha detto, riferisce il procuratore capo: “Siete usciti dopo le elezioni per non svantaggiare qualcuno. Assurdo, perché gli indagati sono sia di destra che di sinistra.  Non siamo usciti prima per, appunto, non entrare nella campagna elettorale e nelle elezioni”.

E alla domanda sul perché la notizia della chiusura delle indagini sia trapelata senza essere controllata Chiappani risponde: “Forse in fase di trasmissione dell’atto agli indagati c’è stata qualche vocina che ha parlato troppo”. Il senso della maxi indagine durata tre anni per il capo della procura di Bergamo è, ad ogni modo, fare sapere alla gente cosa è successo. E in modo particolare ai familiari delle vittime morte per il Covid.

“Abbiamo illuminato un periodo oscuro, quello dei primi mesi di gestione della pandemia, quando le vite nella bergamasca cadevano come birilli. L’inchiesta dimostra gli errori che sono stati fatti, troppi. Senza quegli errori, non avremmo avuto tutti questi morti”. Si prospetta il reato di epidemia colposa anche se su questo punto le sentenze sono state controverse poiché secondo quanto riferisce la Cassazione, alla base ci sarebbe un problema di configurabilità del reato stesso.

Il reato di epidemia colposa: cosa accadrà

Dal reato di epidemia colposa magari qualche indagato tra i 19 sarà prosciolto, qualche posizione sarà archiviata, o magari i giudici riterranno che su questo tipo di reato non si potrà procedere. Ma su un punto Antonio Chiappani è sicuro: “Noi abbiamo fatto il nostro dovere: soddisfare la sete di verità della popolazione. Noi non accusiamo nessuno, abbiamo dimostrato perché c’è stata una sottovalutazione del rischio dal punto di vista della gestione sanitaria”.

Inchiesta Covid
Inchiesta Covid a Bergamo: la rabbia del procuratore capo Chiappani (ansa) qnm.it

Alla base delle tesi difensive ci sarà qualcuno che dichiarerà che, infondo, nessuno in Italia conosceva davvero il virus al di fuori della Cina. Ma la domanda è un’altra, chi risponderà per la mancata applicazione di un piano pandemico tra l’altro rimasto fermo al 2016 nonostante l’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità?. Sul piano politico il procuratore non proferisce parola e ribadisce ancora una volta il lavoro svolto dalla Procura, ovvero ricostruire il quadro di ciò che accadde, scovare gli errori fatti.  “Il nostro dovere è dare una risposta dei morti”.

I tempi dell’inchiesta sono stati lunghi, questo Chiappani lo ammette ma sottolinea però la mole di lavoro conseguita dall’analizzare migliaia di documenti, chat, sms, email e cartelle cliniche. Così, a Repubblica conclude ricordando: “Abbiamo ricostruito le morti di migliaia di persone. E se qualcuno critica i nostri tempi, ricordo che quelli della politica sono stati ancora più lenti: in tre anni non sono riusciti nemmeno a creare una commissione di inchiesta. Non ci si ricorda quasi più di alcuni politici? A Bergamo però i morti di Covid se li ricordano tutti”.