La riforma del lavoro del governo Monti inizia il suo viaggio in Senato, prima tappa importante dopo che il disegno legge è stato presentato in conferenza stampa. Arriva alla prova delle Camere il testo che Mario Monti ha definito “riforma di rilievo storico per l’Italia”, in grado di rendere il mercato del lavoro più flessibile (in entrata e in uscita) e la struttura economica più produttiva. I punti dolenti su chi le categorie chiedono un ripensamento sono molte, e gli analisti prevedono una pioggia di emendamenti.
Se si escludono gli eterni temi degli esodati e della flessibilità del mercato del lavoro, sono due i punti su cui la discussione è ancora aperta e accesa: ammortizzatori sociali e articolo 18. Gli ammortizzatori sociali sono al centro di una vera e propria sfida tra le parti sociali, senza dimenticare i partiti politici. Da un lato Confindustria vorrebbe prolungare la mobilità, che verrà sostituita dall’Aspi dal 2017, e razionalizzare i fondi a favore di chi non ha la cassa integrazione.
Gli industriali inoltre vorrebbero vedere meno penalizzati i contratti stagionali, chiedendo al governo di esentarli dal contributo maggiorato dell’1,4% previsto sui contratti temporanei e che finanzierà l’Aspi. La Cgil dall’altro lato sottolinea la necessità di tutelare i precari, che non sono coperti dall’Aspi né neanche dalla mini-Aspi riservata a chi ha avuto contratti subordinati. Si tratta di un milione di lavoratori senza tutele che allo stato attuale tiene la riforma lontana da un criterio di universalità, come sottolineato dalla Camusso.
Per quanto riguarda invece l’articolo 18, il testo di riforma dopo le ultime modifiche viene valutato positivamente dai sindacati, soprattutto in merito alla velocizzazione dell’iter di giudizio e all’onere della prova a carico dell’impresa e non del lavoratore. Qualche problema in più per la possibilità del giudice di reintegrare nei casi di licenziamenti economici illegittimi per manifesta insussistenza della causa addotta dal datore di lavoro. Se i sindacati chiedono la rimozione dal testo dell’aggettivo manifesta che rischia di rendere quasi impossibile il reintegro, Confindustria e Pdl vorrebbero riportare il testo alla versione precedente, quella con molte meno tutele per il lavoratore.
Riforma del lavoro: cosa cambia con il disegno legge
Le novità più importanti riguardano la regolamentazione del multiforme mondo dei contratti di lavoro, la modifica della disciplina sui licenziamenti e quindi dell’articolo 18 e infine l’istituzione di nuovi ammortizzatori sociali in grado di fungere da cuscinetto di tutela per tutti coloro che dovessero trovarsi per un motivo o per un altro senza lavoro. Scopo del governo era creare un mercato più flessibile, tenendo “conto degli interessi di tutto il Paese e non singole categorie”. Si tratta, nelle parole della Fronero, non di “una riforma per il 2012 o il 2013. E’ una riforma che guarda al futuro”.
Contratto dominante: compito importante era rispondere a quanti chiedevano una disciplina più rigida per quanto riguarda i contratti di lavoro, troppo spesso utilizzati dalle aziende come scappatioia per evitare di assumere. In questa direzione va l’isituzione del cosiddetto contratto dominante, che poi significa che il contratto a tempo indeterminato dovrà essere considerato la norma nel mercato del lavoro, anticipato da un periodo di apprendistato in azienda.
Come fare per convincere le aziende ad assumere a tempo indeterminato? Semplice, rendendo meno favorevoli i contratti a termine, penalizzati da una tassazione più elevata, un’aliquota aggiuntiva dell’1,4% che potrà però essere restituita in caso di assunzione definitiva. Un modo per premiare le aziende che decidono la stabilizzazione dei contratti soprattutto al termine del periodo di apprendistato. A proposito di contratto di apprendistato, sarà una forma vantaggiosa per le aziende ma sarà soggetta a limiti: potrà infatti essere stipulato solo dal datore di lavoro che abbia stabilizzato in precedenza il 50% degli apprendisti (30% nei primi tre anni della riforma).
Nei fatti comunque restano attivi tutti i tipi di contratto temporaneo, anche se si cercherà di punire gli abusi sui contratti più precarizzanti. L’intervallo fra un contratto e l’altro viene infatti aumentato da 10 a 60 giorni per quelli che durano meno di sei mesi e da 20 a 90 giorni per quelli di durata superiore, ed è stata dichiarata guerra aperta alle finte partite Iva che nascondono un lavoro subordinato, sanzionate con l’obbligo di assunzione. Tutte queste misure sono peraltro controbilanciate da una maggiore flessibilità per quanto riguarda i licenziamenti per motivi economici.
Licenziamenti economici: come detto, infatti, la vera novità riguarda la modifica dell’articolo 18 nelle indicazioni che riguardano i licenziamenti economici. Di fatti viene legittimata la possibilità da parte dell’azienda di licenziare qualora sussistano oggettive motivazioni economiche, previo indennizzo che varia tra 12 e 24 mensilità. Conquista degli ultimi giorni la mancata cancellazione del reintegro in azienda, che però sarà limitato soltanto ai licenziamenti economici per i quali venga verificata dal giudica la totale insussistenza delle motivazioni economiche. Una tutela, seppur limitata negli utilizzi, contro i licenziamenti selvaggi. Per ulteriori informazioni in merito, vi rimandiamo al nostro approfondimento su articolo 18 e licenziamenti economici.
Ammortizzatori sociali: il governo ha creato un ammortizzatore sociale universale valido per tutte le categorie di lavoratori dipendenti. Si chiama Aspi, assicurazione sociale per l’impiego, e sostituirà le varie indennità di mobilità e disoccupazione presenti fino ad oggi. Il suo valore sarà pari al 75% della retribuzione fino a 1.150 euro e al 25% oltre questa soglia, per un tetto massimo di 1.119 euro lordi al mese. Per le aziende non coperte, come detto, verrà creato un fondo solidarietà cui contribuiranno per 2/3 le aziende e per 1/3 il lavoratore. Infine, nel caso di nuovi accordi sugli esodi dei lavoratori vicini alla pensione (massimo 4 anni) sarà prevista un’indennità a carico del datore di lavoro che copra gli anni che separano il lavoratore dalla pensione.
Riforma del lavoro, novità in discussione
Articolo 18 e licenziamenti: il governo propone di lasciare il reintegro per i soli licenziamenti discriminatori, da estendere però anche alle imprese sotto i 15 dipendenti. Per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari, la proposta è che sia previsto il rinvio al giudice che deciderà il reintegro nei casi gravi o l’indennità con massimo 27 mensilità, tenendo conto dell’anzianità. Infine per i licenziamenti economici sarà previsto solo l’indennizzo, da un minimo di 15 mensilità a un massimo di 27, facendo riferimento all’ultima retribuzione.
Assicurazione sociale per l’impiego: verrà introdotto l’Aspi che andrà a sostituire il sussidio di disoccupazione e verrà versato per 12 mesi e con importi lordi massimi di 1.119 euro al mese, che si ridurranno comunque dopo i primi sei mesi del 15% ogni semestre. L’assicurazione verrà introdotta in modo graduale dall’anno prossimo e servirà ad abolire la mobilità.
Contratti di lavoro: come già previsto, il contratto di lavoro a tempo indeterminato dovrà diventare l’orizzonte unico nell’attuale giungla di contratti. Verranno quindi imposti vincoli “stringenti ed efficaci” sui contratti a termine e su quelli a progetto, con una maggiorazione dell’1,4% sul costo dei contratti a termine, restituito all’azienda in caso di assunzione successiva. Infine dopo 36 mesi di contratti a tempo determinato scatterà in automatico l’assunzione a tempo indeterminato. Allo stesso tempo ci sarà una lotta serrata contro i contratti dipendenti mascherati da partite Iva.
Contratto di apprendistato: si punta a rafforzare il contratto di apprendistato come contratto principale di ingresso nel mercato del lavoro, evitando però il rischio che le aziende utilizzino l’apprendistato come flessibilità: “un apprendistato serio che forma il lavoratore, non un para-apprendistato interpretato solo come una modalità per avere un’entrata flessibile”. Inoltre non sarà più permesso alle aziende fare stage gratuiti per i giovani al termine di un ciclo formativo, e anche se ancora non si capisce bene che forma assumeranno i contratti dovrà essere comunque prevista una retribuzione.
Per concludere, il ministro Elsa Fornero ha chiarito che la riforma prevede anche delle fasi successive relative alla riduzione della durata dei processi del lavoro e le strutture per l’inserimento nell’impiego, da decidere in concerto con gli enti locali (Regioni in primis).
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I temi caldi della riforma del lavoro
I tempi per l’arrivo della tanto attesa riforma potrebbero essere più brevi di quanto le polemiche potessero far legittimamente pensare, perché lo scopo del governo è “una maggiore mobilità che protegga il lavoratore ma non renda sclerotico il mercato del lavoro”, come affermato dallo stesso Mario Monti. In questi giorni si susseguono gli incontri con i sindacati e le parti industriali. Proprio la leader di Confindustria Emma Marcegaglia ha suggerito di mantenere le tutele dell’articolo 18 solo per i licenziamenti discriminatori, come i motivi di razza, di religione, di maternità, di convinzioni politiche. Si tratterebbe a tutti gli effetti di una cancellazione dell’articolo.
Quello sull’articolo 18 però è soltanto un versante della complicata situazione economica italiana. Altro tema caldo è anche quello delle pensioni di anzianità. Il ministro Fornero in merito ha espresso la volontà di porre un freno all’ampliamento della gamma di lavoratori cosiddetti “esodati”, ovvero quelli che potrebbero beneficiare con deroga eccezionale delle vecchie regole per andare in pensione. I lavoratori interessati sono tutti coloro che avevano raggiunto i 42 anni e un mese di anzianità lavorativa pur essendo under 62 entro fine 2011. La situazione anche in questo caso è però molto fluida.
Anche perché il governo deve fare i conti con problemi ben più pressanti. La riduzione della frammentazione dei contratti e rafforzamento degli ammortizzatori sociali sono due impegni che devono correre paralleli, e il piano Fornero intende lavorare verso questi risultati puntando su tre aree specifiche: contratto unico, tempo determinato e ammortizzatori.
Di seguito andiamo allora ad approfondire tutte le possibili novità del piano Fornero, punto per punto.
Riforma del lavoro, dubbi dei sindacati
I sindacati però non ci stanno a portare fuori dalla tutela dell’articolo 18 i licenziamenti disciplinari (che poi sarebbero un cappello per nascondere il licenziamento tout court), e in questo senso la sensazione è che ci vorranno ancora numerosi incontri tra le parti sociali e i rappresentanti del governo per riuscire a dirimere la spinosa questione. L’articolo 18 rischia di diventare il cuore di una guerra di principio in grado di bloccare l’intera riforma.
I rappresentanti sindacali in questo senso sono chiari. Luigi Angeletti della Uil ad esempio afferma che “una qualsiasi discussione seria sull’articolo 18 deve partire dal presupposto di rafforzare gli ammortizzatori sociali ma il ministro ha sempre detto che non ci sono soldi, una discussione quindi che francamente non ha senso”. Il leader Cisl Raffaele Bonanni rincara la dose: “Se gli imprenditori sono in buona fede e non rincorrono gli asini che volano possiamo convergere sulle ragioni di inefficienza, se vogliono un trofeo con l’articolo 18, non troveremo un accordo”.
Lo scontro passa facilmente dal terreno pratico a quello ideologico, tanto che persino all’interno di Confindustria c’è chi ritiene che si stia perdendo tempo su cavilli piuttosto che affrontare la situazione con misure serie. Come vedremo negli approfondimenti delle pagine seguenti, l’articolo 18 già oggi tutela meno lavoratori di quanto si possa pensare.
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Contratto Unico
L’Istat ha censito che attualmente in Italia esistono 48 forme contrattuali diverse, una frammentazione che penalizza soprattutto donne e giovani e rende più basso lo stipendio medio nel nostro Paese. Per questo l’idea del Ministro Fornero è sostituirli con un unico contratto, il CUI, Contratto Unico di Ingresso, che avrà valore solo per i nuovi assunti e non cancellerà la vecchie forme contrattuali, limitandosi a renderle economicamente sconvenienti.
Il CUI sarà strutturato in due fasi, una di ingresso e una di stabilità. La prima potrà durare fino a tre anni e sarà caratterizzata da maggiore precarietà, mentre la seconda sarà caratterizzata dalle tutele dell’attuale contratto a tempo indeterminato. Insomma le tutele dovrebbero crescere gradualmente con la durata dell’impiego rendendo sempre più oneroso il licenziamento. Al termine del del triennio se l’azienda decide di liberarsi del dipendente gli deve riconoscere 6 mensilità, senza obbligo di reintegro, mentre se lo conferma questi passa automaticamente alle tutele fornite dall’articolo 18.
Leggi qui le ultime novità sul contratto unico
Tempo determinato
Anche l’assunzione a tempo determinato subirà una disciplina più rigida, per evitare che le aziende utilizzino questo tipo di contratto per evitare eccessivi impegni nei confronti del lavoratore. Secondo la riforma il determinato equivarrà ad una prestazione professionale di alto livello, e quindi per le aziende sarà impossibile assumere in questo modo dipendenti per i quali viene corrisposto un salario inferiore ai 25mila euro lordi annui, con eccezione dei lavori stagionali. Verrà inoltre imposto un tetto ai contratti di progetto e di lavoro autonomo continuativo che rappresentino due terzi del reddito di un lavoratore della stessa azienda, ed è prevista infine l’introduzione di un salario minimo legale stabilito da un accordo tra le parti sociali.
Apprendistato
Nel piano generale del governo Monti, grande importanza potrebbe assumere l’apprendistato, considerato lo strumento più idoneo per affrontare il problema della disoccupazione giovanile senza interventi sostanziali. Governo e sindacati sono d’accordo sulla necessità di un suo rafforzamento, anche per renderlo più appetibile. In merito potrebbero presto arrivare novità che riguardano forti bonus fiscali e contributivi, anche se è necessario intervenire sulle modalità e i tempi dell’apprendistato, che si appresta a mutare sostanza.
Ammortizzatori sociali
Argomento molto delicato quello degli ammortizzatori sociali, anche in virtù della maggiore facilità di licenziamento da parte delle imprese in quei fatidici primi tre anni. Le risorse in questo senso sono davvero poche, ma lo scopo del governo Monti è quello di semplificare tornando al senso originario della cassa integrazione ordinaria, che dovrebbe intervenire solo per far fronte alle crisi cicliche e temporanee dei settori. Allo studio anche la possibilità dell’introduzione di un reddito minimo di disoccupazione per coloro che si ritrovano senza lavoro. Una scelta che ci avvicinerebbe agli altri Paesi europei, ma che provocherebbe un salasso per le casse dello Stato, il che mette in bilico la sua effettiva integrazione nel testo finale di riforma.
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Articolo 18 e neoassunti
L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori continua ad essere il pomo della discordia tra governo e sindacati. Una delle proposte più accreditate al tavolo delle consultazioni prevede due novità molto importanti. La prima riguarda tutti coloro che già lavorano con contratto sotto tutela dell’articolo 18: non ci sarà alcuna modifica normativa, e le tutele non saranno dunque cancellate come previsto da vecchie bozze di riforma.
La seconda, più importante, riguarda i giovani: chi verrà assunto a tempo indeterminato provenendo dal caotico mondo dei contratti a termine (il cosiddetto “bacino di precarietà”) non godrà di un indeterminato vecchio stile, nel senso che non sarà tutelato dall’articolo 18. Questo significa che per l’azienda sarà più facile licenziare senza giusta causa a fronte di un indennizzo che cresce con l’anzianità lavorativa.
Ad esclusione dei licenziamenti discriminatori per razza, religione e sesso, sarà quindi più facile ed economico licenziare in momenti di crisi. Questo secondo il governo dovrebbe facilitare anche le assunzioni o le conversioni dei contratti in indeterminato, ma i sindacati non sono d’accordo e la partita è ancora aperta.
Le ultime novità provenienti dal tavolo di concertazione tra governo e sindacati parlano chiaro: il governo sta cercando di estendere il licenziamento senza giusta causa anche alle aziende che superino i 15 dipendenti, anche nel caso in cui, a causa di una fusione tra due aziende sotto i 15 dipendenti, si superi tale soglia minima. Il fatto in realtà è che ben presto tale soglia minima potrebbe arrivare a 50 dipendenti se non sparire del tutto (ipotesi poco gradita ai sindacati).
La mobilità individuale e la giusta causa diventano quindi i termini cardine del lavoro di riforma: il governo vorrebbe favorire la prima erodendo le basi normative dell’articolo 18 e quindi lavorando anche sul concetto di giusta causa e sugli ammortizzatori sociali.
Foto da Giovy.it
Flessibilità, i numeri della realtà Italia
Si parla tanto di riforma del lavoro e articolo 18, ma in realtà la situazione è ancora molto fluida. Entro marzo 2012 il governo vorrebbe approvare il testo di riforma, ma intanto ancora non si sa bene cosa accadrà davvero all’articolo 18: abolizione totale o solo innalzamento del tetto di minor tutela? Sembra un quesito di mera natura politica, invece sono proprio i numeri a cambiare.
I numeri, che poi nel caso specifico sarebbero persone, lavoratori. Cerchiamo di capire quali sono le cifre reali in gioco nella specifica situazione del mercato italiano, partendo dal presupposto che l’ipotesi più accreditata sia quella dell’ampliamento dell’area senza tutele alle aziende fino a 50 dipendenti. Già oggi, infatti, sotto i 15 dipendenti vige una flessibilità maggiore (a favore dell’azienda).
Analizzando la situazione imprenditoriale in Italia, si nota come negli ultimi decenni si sia acuito il divario tra grande impresa e piccola impresa. Stanno quindi venendo a mancare le aziende di medie dimensioni, quelle che sarebbero più direttamente coinvolte dalla riforma Fornero. Abbiamo da un lato sempre meno grandi gruppi industriali e dall’altro sempre più micro-aziende che spesso non arrivano ai 10 dipendenti.
Le analisi della realtà italiana sono comunque in disaccordo su alcuni punti. Da un lato c’è chi ritiene che già oggi gran parte dei lavoratori italiani (il 47%) lavori in regime di assenza di tutele dell’articolo 18, e che l’allargamento alle aziende fino a 50 dipendenti alzerebbe di poco la percentuale. Dall’altro chi afferma che quel 3-5% di aziende al di sopra dei 15 lavoratori dipendenti copra il 65,5% della forza lavoro, che quindi sarebbe coperto dall’articolo 18. In pratica, su quasi 12 milioni di operai ed impiegati presenti nel nostro Paese, quasi 7.800.000 lavorano alle dipendenze di imprese con più di 15 dipendenti.
Il 95% delle aziende conta meno di 10 dipendenti già oggi, mentre sono 1 milione e mezzo quelle sotto i 15 dipendenti, e per i lavoratori di queste non cambierà comunque nulla perché sono già fuori dalla tutela dell’articolo 18. Sono quei quasi 8milioni ad essere davvero interessati dalla riforma del lavoro in merito alla flessibilità e alle minor tutele, sempre che il governo decida di andare contro i sindacati ed eliminare del tutto il tetto di garanzia, coinvolgendo tutte le tipologie di azienda nel gioco della flessibilità. I cambiamenti come visto ci saranno ma è ancora presto per capirne la portata perché in fondo l’Italia si configura sempre più come Paese della piccola (spesso piccolissima) impresa.
In tutto questo, mentre la Fornero parla di contratto unico, gli ultimi dati Istat relativi al terzo trimestre 2011 parlano di un’Italia in cui aumentano in maniera esponenziale contratti atipici, di collaborazione e a tempo determinato. Senza considerare le forme illegali (false partite IVA, stagisti in esubero e collaborazioni in nero) si tratta di 2,749 milioni di persone a cui manca il posto fisso, anche se la stima è sempre complessa data la natura dei contratti.
A pagare di più, come sempre, sono i giovani, che non trovano spazio in entrata. Il CUI a questo punto sembra quasi utopia vista la tendenza delle aziende a non normativizzare i lavoratori, preferendo piuttosto la giungla sommersa dei contratti atipici.