Il lavoro come lo conoscevano i nostri genitori (per non parlare dei nostri nonni) ormai non esiste più, e neanche la conclusione del secolo breve è riuscito a bloccare l’incessante evoluzione della tecnologia e, di conseguenza, del mercato del lavoro. Tra crisi economiche endemiche e nuovi orizzonti mediali, il dipendente del terzo millennio non può affidarsi alle sicurezze del passato, ma deve ricostruire la sua identità.
L’orizzonte globale del mercato rende necessario definire nuovi criteri per giudicare il lavoratore perfetto cui tutti dovremmo aspirare. Vediamo allora il decalogo del perfetto dipendente del 21esimo secolo.
1. Padrone della tecnologia: il nuovo paradigma di lavoratore non può prescindere dalla tecnologia, la cui evoluzione ha subito una netta accelerazione negli ultimi 10 anni. Impossibile prescindere oggi da termini come Internet, mobile, cloud, app, Google: imparare a padroneggiare la tecnologia equivale ad aprirsi a un mondo infinito di possibilità, svecchiando la propria identità professionale.
2. Proattivo e ottimista: il lavoratore moderno è affronta le sfide con atteggiamento proattivo, aprendo la mente a nuove soluzioni. Il pensiero laterale e la capacità di agire in multitasking sono due concetti strettamente collegati, imprescindibili per chi si affaccia oggi al mondo del lavoro.
3. Veloce ad adattarsi: il mercato del lavoro somiglia sempre più a una giungla darwinista dove i più veloci ad adattarsi conquistano un vantaggio sugli altri, con maggiori possibilità di sopravvivere ai problemi aziendali. Adattarsi significa abituarsi a un processo di aggiornamento continuo, sia dal punto di vista professionale che umano.
4. Aperto al nuovo: inutile chiudersi nell’orticello delle proprie sicurezze, che inevitabilmente verrà raso al suo dalla prima difficoltà. L’apertura al nuovo (inteso anche come nuovi modi di risolvere i problemi) e l’ottimismo razionale davanti alle sfide regalano un vantaggio competitivo non quantificabile ma decisivo.
5. Abile nel confronto: nessuno oggi è insostituibile, ma questo non significa certo che ci si debba rassegnare alla perdita del proprio status. Il segreto è nell’accettare la condizione precaria dell’essere umano e dimostrarsi pronti alla sfida professionale, cercando di restare al passo coi tempi per respingere l’assalto delle nuove leve agguerrite.
6. Connesso sempre e ovunque: tempo e spazio non sono più un problema per il lavoratore del terzo millennio, che non deve accontentarsi di essere limitato alle quattro pareti dell’ufficio. Il lavoro ci segue ovunque grazie alla tecnologia, ma questo non è solo un aspetto negativo. L’ufficio deve essere un punto di partenza per la propria crescita e non, come accadeva fino a pochi anni fa, una meta.
7. Parte di un network: le relazioni professionali oggi rispondono a quello che è stato definito “modello LinkedIn”, dal celebre social network dedicato al lavoro. Curare e rimpolpare il proprio network è compito che il dipendente oggi non può trascurare, perché l’orizzonte delle relazioni non si limita più ai colleghi più prossimi ma coinvolge persone da tutto il mondo e spesso da settori molto diversi dal nostro.
8. Team player: un tempo la parcellizzazione delle mansioni faceva sì che ognuno restasse confinato al suo orticello di competenze senza mai osservare fuori dalla finestra. Questo comportamento non è più consentito, e l’approccio collaborativo è fondamentale per superare al meglio le sfide del mercato e della concorrenza. Team player vuol dire proprio questo, rinunciare a una parte di sé per condividerla con chi lavora fianco a fianco con noi (non solo in senso fisico).
9. Fiducioso nel cambiamento: il cambiamento non sempre è negativo, ed è comunque una costante cui ogni lavoratore deve abituarsi. Le aziende cambiano, il mercato cambia, e con essi cambiano anche le figure professionali. Chiudere gli occhi e fingere di non vedere è il modo migliore per morire dal punto di vista lavorativo e ritrovarsi fuori da mercato.
10. Abile nel reinventarsi: chi nasce commercialista muore commercialista? Fino a 20 anni fa questa domanda non aveva neanche senso, mentre oggi la risposta non è più così netta. Iniziare la propria carriera in un certo modo non vuol dire per forza finirla nella stessa posizione o azienda. Sapersi reinventare, specie in caso di perdita del lavoro, è importante per non abbattersi e guarda con rinnovata fiducia al futuro.