Crisi economica e disoccupazione sono i termini che più di frequente popolano le discussioni sulla situazione attuale dell’Italia. I giovani non trovano lavoro, il sistema è chiuso e legato alle conoscenze e raccomandazioni, la fuga dei cervelli priva il Paese di risorse creative che ha pagato per formare. In una nazione dove il tasso di disoccupazione sfiora il 10% e oltre il 30% dei giovani non trova lavoro, è proprio vero che il lavoro non esiste? Oppure la triste realtà è che gli italiani alcuni lavori non vogliono più farli?
La situazione è nota, e non rappresenta certo una prerogativa italiana: quando una popolazione vede aumentare il proprio benessere e il livello medio di istruzione, non si è più disposti a scendere a compromessi con lavori considerati non degni del proprio profilo professionale. Questo significa che tutti si affollano per lavorare negli stessi settori e nel mandare curriculum per le stesse posizioni, mentre i vecchi mestieri, soprattutto quelli manuali, vengono abbandonati. I lavori anticrisi esistono, ma nessuno li vuole, con il risultato surreale che in Italia le aziende spesso faticano a trovare persone da assumere.
Secondo il rapporto Excelsior di Unioncamere-Ministero del Lavoro, si tratta di quasi 100mila posti di lavoro, 31.790 nelle grandi imprese e ben 61.720 nelle aziende piccole e medie. Se da un lato si prevede la distruzione di 130mila posti di lavoro solo nel 2012, esistono dall’altro lavori per i quali mancano le figure professionali adeguate. Sono almeno 25 le categorie professionali che cercano (spesso disperatamente) persone da assumere. Ma quali sono questi mestieri che nessuno vuole fare? Gli esempi sono tanti, come saldatori, cuochi, infermieri, esperti di marketing, falegnami, fabbri, ma anche ingegneri e commercialisti.
Il dato diventa ancora più rilevante se si pensa che queste professionalità che le imprese faticano così tanto a trovare rappresentano alla fine il 20,6% del totale delle assunzioni programmate dalla grandi aziende (19,9% nel caso delle Pmi). Allora il dubbio sorge spontaneo: gli italiani non vogliono lavorare? La situazione è più complessa di quel che si possa pensare, perché sull’altro piatto della bilancia bisogna mettere il tempo e i soldi spesi per specializzarsi e studiare. Insomma, una persona laureata (o magari con master) è meno disposta a cambiare area professionale perché percepisce il tutto come uno svilimento, una sconfitta.
Buttarsi su un mestiere e smettere di studiare? Fino a qualche anno fa poteva sembrare assurdo anche solo pensare una cosa del genere, ma allo stato attuale molti sono quelli che decidono di imparare sul campo piuttosto che “perdere tempo” sui banchi. Detto che i laureati sono quelli che faticano di più a trovare lavoro, è comunque bene precisare che una laurea garantisce quasi sempre posizioni più elevate e soprattutto salari più soddisfacenti. Purtroppo però spesso i lavori manuali o d’artigianato vengono ancora percepiti come il classico esempio di “tanto lavoro, pochi soldi”, il che sappiamo tutti che non è sempre vero.
Ridare dignità alle professioni considerate di serie B è necessario non solo per combattere la crisi economica e offrire opportunità ai tanti disoccupati, ma anche per evitare la progressiva scomparsa delle professioni. Anche perché, tragedia nella tragedia, molti si dedicano a lavori altrettanto faticosi rispetto a quelli artigianali ma meno retribuiti, abbastanza generici da poter essere svolti senza una specifica preparazione. Come i call center, inondati di richieste ma di sicuro con meno prospettive di un lavoro artigianale. Si tratta di un problema di percezione e di informazione. In fondo bisogna decidere, le alternative sono due: lamentarsi o rimboccarsi le maniche e lavorare. L’atteggiamento snob è meglio metterlo nell’armadio tra le cose vecchie.