Quante volte avete sentito dentro di voi quel bisogno irrefrenabile di mandare a quel paese il vostro capo? Ognuno di noi passa attraverso questo stato d’animo almeno una volta al giorno, ma adesso una sentenza della Suprema Corte di Cassazione arriva in soccorso di quanti frenano l’impulso per paura di perdere il lavoro. Insultare il capo è possibile, anche se una volta soltanto, e per questo non si può essere licenziati.
Già immaginiamo la fila che si formerà fuori dall’ufficio del boss, tutti i dipendenti pronti ad utilizzare il proprio bonus di insulti che prima tenevano gelosamente dentro di sé. Il vaffa una tantum viene sdoganato anche dall’alto verso il basso, ma fate attenzione a non valicare la soglia consentita perché la Corte ammette l’offesa al superiore “se resta circoscritta a un episodio e non dà adito ad altre contrapposizioni nel tempo”. Insomma, secondo i giudici un vaffa non compromette il rapporto fiduciario con l’azienda.
Da dove arriva questo succoso precedente? Da una sentenza della sezione lavoro della Cassazione, che ha bocciato il ricorso di un’azienda abruzzese, che aveva licenziato un dipendente dove che questi aveva offeso il capo, peraltro donna. L’azienda si opponeva al reintegro a seguito del licenziamento disciplinare avvenuto il 21 ottobre 2005 e poi annullato dal Tribunale di Chieti il 18 marzo 2009 alla luce del fatto che l’offesa era stata isolata.
La sentenza definitiva annulla dunque il ricorso, perché i giudici hanno voluto limitare l’entità dell’offesa parlando di episodio circoscritto che “seppur censurabile, non dimostra la volontà di sottrarsi alla disciplina aziendale e di insubordinarsi, essendo rimasto nei limiti di una intemperanza verbale”. Ovviamente questo non tiene conto del clima che accoglierà di nuovo in azienda il dipendente ribelle. Supponiamo che la vita non sarà facile per lui ora, ma che soddisfazione essersi tolto quel vaffa dalla scarpa!