Congedo parentale padre per nascita figlio: cos’è e chi può richiederlo?

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Potrebbero cambiare presto le regole del congedo parentale, normativa che consente anche al padre l’astensione facoltativa dal lavoro nei primi 8 anni di età del bambino. Il governo Monti ha indicato l’intenzione di aggiornare il testo, riprendendo una direttiva europea che consenta di rendere l’assenza dal lavoro, per accudire i figli, più flessibile e meno penalizzante dal punto di vista economico. Intanto cerchiamo di capire come funziona ad oggi il congedo parentale e quali sono le ipotesi di riforma.

Allo stato attuale al padre lavoratore autonomo non è riconosciuto alcun diritto al congedo, mentre il padre dipendente può astenersi dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 7 mesi, un mese in più della madre in virtù di una legge di qualche anno fa che voleva parificare un istituto da sempre più a favore della madre, sensibilizzando al tempo stesso gli uomini di casa. Comunque, le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono superare il limite complessivo di 11 mesi.

In caso il padre sia da solo, il congedo viene prolungato ma non potrà superare il periodo, continuativo o frazionato, di 10 mesi; infine qualora si sia genitori adottivi o affidatari, l’assenza interesserà i primi 8 anni dall’ingresso del bambino in famiglia, a prescindere dall’età del bambino, ma non oltre il raggiungimento della maggiore età. Il padre lavoratore subordinato, qualora non sia titolare di pensione e non sia iscritto ad altre forme previdenziali obbligatorie, può astenersi dal lavoro per 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino.

Per quanto riguarda il padre, c’è poi da precisare che, in riferimento ai riposi giornalieri (art. 40 del d.lgs. 151/2001 – Testo Unico maternità/paternità), “il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, bensì, lavoratrice autonoma o casalinga. In quest’ultimo caso deve essere dimostrata l’impossibilità della madre di dedicarsi alla cura del neonato, perché impegnata in altre attività (ad esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche, ecc.)“.

In tutti i casi di congedo parentale viene corrisposta al genitore, in luogo della retribuzione, un’indennità pari al 30% della retribuzione: fino ai 3 anni di vita del bambino (oppure, in caso di adozione e affidamento, fino a 3 anni dall’ingresso in famiglia), l’indennità del 30% spetta per un periodo massimo complessivo, tra i genitori, di 6 mesi. In caso di superamento dei 6 mesi, e fino all’ottavo anno di vita del bambino, l’indennità spetta solo se il reddito annuo del genitore richiedente non superi due volte e mezzo l’importo del trattamento minimo di pensione in vigore quell’anno.

Riforma congedo parentale: come detto, il governo ha presentato una proposta di riforma inserita nel cosiddetto “decreto Salva infrazioni”. In questo caso il congedo parentale potrebbe assumere anche la formula del congedo parentale part-time, allungando di fatto i tempi di fruizione frazionando il congedo per ore e non più soltanto per mesi, settimane e giorni.

Questo consentirebbe di raddoppiare i giorni di congedo per stare con i figli e al tempo stesso permetterebbe ai genitori di guadagnare di più, visto che il congedo parentale viene retribuito al 30% dello stipendio. In ogni caso il passaggio dalla carta alla realtà è tutt’altro che scontato, perché nella bozza del decreto dice che la “contrattazione collettiva di settore stabilisce le modalità di fruizione del congedo su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa”. Non ci resta che aspettare per capire come cambierà per i padri il periodo di congedo parentale.