L’atleta australiano Peter Norman vinse la medaglia d’argento sui 200 metri piani ai Giochi olimpici di Città del Messico nel 1968, e salì sul podio insieme a John Carlos, che arrivò terzo, e Tommie Smith che guadagnò la medaglia d’oro. Il momento della premiazione entrò nella storia dello sport e della cronaca come la più famosa protesta realizzata in occasione dei Giochi olimpici. E’ infatti diventata iconica la foto che ritrae i vincitori, con il biondino australiano davanti a Smith e Carlos che, a pugno alzato (fasciato da un guanto nero), ascoltano il loro inno nazionale manifestando il loro sostegno verso l’Olympic Project for Human Rights, un movimento in favore dei Diritti Umani e contro l’apartheid.
Mentre l’attenzione di tutti, dai media alle persone comuni, quel giorno, e negli anni a venire, si è sempre concentrata sugli eroi neri Smith e Carlos, che avevano deciso di portare davanti al mondo intero la loro battaglia per i diritti umani, Norman è stato quasi dimenticato, considerato fuori posto su quel podio, che in qualche modo era diventato un simbolo della battaglia afroamericana, con i due atleti scalzi (la povertà) e con i guanti neri a ricordo delle lotte delle Pantere Nere.
In pochi sanno quello che successe poco prima della cerimonia di premiazione, quando Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio portando al petto uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti solidali con le battaglie di uguaglianza. ”Voglio mostrare la mia solidarietà alla vostra causa”, li sorprese Norman, dichiarando di voler indossare a sua volta lo stemma dell’Olympic Project for Human Rights. Smith rispose di no e ammise di aver pensato: ”Ma che vuole questo bianco australiano? Ha vinto la sua medaglia d’argento, che se la prenda e basta!”. Ma Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani e canottiere americano bianco gli diede il suo stemma.
Peter Norman era ”soltanto” un bianco e veniva dall’Australia, un paese che aveva leggi di apartheid dure quasi come quelle sudafricane, con restrizioni all’immigrazione non bianca e leggi discriminatorie verso gli aborigeni, tra cui le tremende adozioni forzate di bambini nativi a vantaggio di famiglie di bianchi. Quando i due atleti afro-americani si resero conto di avere a disposizione un solo paio di guanti neri, fu lo stesso Norman a suggerire loro di usarne uno a testa, ed è per questo che nella foto storica di quel momento si vede Smith che indossa il guanto destro e Carlos il sinistro.
Tornati a casa i due velocisti ebbero pesanti ripercussioni e minacce di morte, ma poi vennero trasformati in paladini della lotta per i diritti umani. Norman invece venne condannato dai media australiani per quanto fatto durante la cerimonia di premiazione a Città del Messico e continuamente boicottato dai responsabili sportivi australiani. Per questa delusione, lasciò l’atletica agonistica, continuando a correre a livello amatoriale. Norman fece l’insegnante di ginnastica, ma fu trattato da emarginato e morì a Melbourne all’età di 64 anni, a causa di un infarto.
”Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c’è nessuno più di lui che l’Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare” disse John Carlos. ”Ha pagato il prezzo della sua scelta – spiegò Tommie Smith – Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa”.