Il Procuratore Generale del Piemonte racconta l’attentato alla scuola Allievi Ufficiali dei Carabinieri, che ha portato all’arresto dell’anarchico
La vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico che è al 41-Bis e che dal 20 ottobre scorso ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione, si infittisce ogni giorno di nuove e clamorose vicende. Dopo aver tentato la carta dei domiciliari (richiesta respinta dal Tribunale di Sorveglianza) ed esser tornato a mangiare (seppur in modo limitato), ora si è registrato un faccia a faccia a distanza tra il suo legale e il procuratore generale del Piemonte Francesco Saluzzo.

Nel corso dell’ultima puntata di Report, il legale di Cospito era tornato a parlare dell’attentato del 2006 alla scuola allievi ufficiali dei carabinieri di Fossano (in provincia di Cuneo), vicenda che ha portato alla condanna dell’anarchico e alla pena del 41-Bis. Secondo la procura, nell’ultima puntata di Report, l’avvocato di Cospito avrebbe “ridotto la gravissima vicenda a un mero gesto dimostrativo senza alcun intento di far male, e alla esplosione di petardi da fiera paesana”. Ma “la realtà è del tutto diversa da quella che risulta dagli atti processuali”, tanto che, osserva Saluzzo, la Cassazione “ha già stabilito che si trattò di un reato gravissimo”.
Francesco Saluzzo ricorda come il congegno realizzato da Cospito era “micidiale” e avrebbe potuto “colpire molte persone con conseguenze che tutti possono immaginare”. Nella nota diffusa dal Pg c’è un vero e proprio attacco al legale dell’anarchico che, ” ha fatto affermazioni e valutazioni che, certamente legittime dal punto di vista dell’assistenza dell’imputato, hanno rappresentato una realtà del tutto diversa da quella che risulta agli atti processuali”. “Certamente – aggiunge il magistrato – sarà il giudice a stabilire la portata e il significato di quell’attentato e a valutare se sia un fatto così lieve da giustificare l’applicazione di una attenuante specifica. Ricordando, però, che la Cassazione ha già stabilito che si trattò di un reato gravissimo e che su questa qualificazione non è possibile aprire una nuova discussione”. “Ma a me – prosegue Saluzzo – come pubblico ministero del processo d’appello preme dolermi il fatto che sia stata indicata, dalla trasmissione, una verità unilaterale senza contraddittorio, e senza che sia stato registrato un pur flebile obiettare alle inesattezze propalate dal difensore”.

Il magistrato tira in ballo anche il programma Report, prima di specificare alcuni elementi. Innanzitutto che l’attentato fu eseguito con “un micidiale congegno ‘a trappola’ consistente nell’esplosione differita di due meccanismi esplosivi, tipico della volontà e dell’intento di attirare sul posto il maggior numero possibile di persone (addetti ai lavori e ‘curiosi’), bersaglio, queste, della seconda e più potente esplosione”. “Non è vero – aggiunge – che la prima esplosione, come affermato dall’avvocato – sarebbe stata così poco potente da non determinare neppure lo spostamento del bidone dei rifiuti all’interno del quale era stato collocato il primo ordigno. Il bidone fu ritrovato al centro della strada, dove era stato proiettato, dai primi carabinieri intervenuti, e riportato sul bordo per evitare incidenti di circolazione”. “Sia il primo che il secondo ordigno – continua Saluzzo – erano stati accuratamente preparati e confezionati. Il secondo meccanismo era stato anche imbottito con bulloni di ferro che, grazie all’aumento di pressione, sono stati scagliati a significativa distanza con elevata forza di penetrazione, tanto che hanno intaccato la facciata in pietra della caserma lasciando buchi visibili, come proiettili. Il secondo meccanismo inoltre era stato ‘rafforzato’ collocandolo in un cestino metallico che si è frantumato trasformandosi in schegge micidiali ritrovate a grande distanza”.
La rivendicazione
Saluzzo conclude ricordando la rivendicazione delle Fai-Fri, dove si spiegava che l’azione era stata compiuta contro i carabinieri “nell’infame anniversario” della nascita dell’Arma “perché 10 100 1000 Nassirya non sia solo uno slogan”. “Il riferimento ai ‘carabinieri criminali’ e alla volontà di decimarli – è la conclusione – mal si concilia con lo sbandierato intento meramente dimostrativo”.