Conclave 2013, quanto ci costa l’elezione del nuovo Papa?

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Il Conclave 2013 è entrato di diritto nei temi più caldi di questi primi mesi del nuovo anno. Passato il dolore per l’addio di Benedetto XVI, i fedeli del mondo intero volgono speranzosi lo sguardo verso la cupola di San Pietro, in attesa della fumata bianca che darà avvio alla nuova era della Chiesa. Entusiasmo e trepidazione di molti non possono nascondere una cruda realtà per tutti gli italiani: il Conclave non è solo un’esperienza mistica ma comporta dei costi molto fisici e concreti. Eleggere il Papa comporta una spesa a dir poco ingente pagata, neanche a dirlo, dallo Stato.

Quanto ci costa il Conclave 2013? Rispondere a questa domanda non è proprio semplice, perché la spesa totale si basa sulle stime effettuate dal Comune di Roma (il primo soggetto direttamente interessato) e dall’amministrazione pubblica. Le stime tengono conto dei costi di eventi di simile portata e, soprattutto, dei precedenti più recenti. In questo senso, la memoria non può che tornare al Conclave che nel 2005 ha portato all’elezione proprio di Ratzinger, il dimissionario eccellente. In quella occasione l’Italia ha dovuto sborsare 8 milioni di euro, ma nella cifra bisogna includere sia l’elezione di Benedetto XVI sia gli imponenti funerali di Giovanni Paolo II.

Volendo ipotizzare un costo per l’appuntamento iniziato proprio ieri con l’entrata dei cardinali in San Pietro, dunque, ci si può attenere a quanto riportato dai principali media italiani secondo cui il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, avrebbe richiesto 4,5 milioni di euro al presidente del consiglio Monti, subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Ratzinger. Poco più della metà di quanto speso nel 2005 sembra una stima affidabile per le spese che lo Stato dovrà sostenere in questa settimana. Già, ma perché lo Stato deve pagare per una faccenda che riguarda la Chiesa? Extraterritorialità non significa anche pagare le spese di tasca propria? Non è così, e dobbiamo ancora una volta ‘ringraziare’ i Patti Lateranensi.

L’accordo sottoscritto l’11 febbraio 1929 da Benito Mussolini e il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri, parla chiaramente del ‘caso Conclave’ nell’articolo 21: “Cura, inoltre, l’Italia che nel suo territorio all’intorno della Città del Vaticano non vengano commessi atti, che comunque possano turbare le adunanze del Conclave”. La formula, che non è stata ritoccata nemmeno dal rinnovo dei Patti negli anni ’80 tra Chiesa e allora governo Craxi, in poche parole affida gli oneri dell’evento allo Stato, mentre la Chiesa si prende solo le prime pagine e il rinnovato hype che nasconde polemiche e scandali. I geni del marketing religioso hanno colpito ancora.

Ma quali sono le spese principali da sostenere? I costi che incidono di più sul computo totale riguardano il controllo e la gestione dell’ordine pubblico, le misure di sicurezza del collegio cardinalizio, il rafforzamento dei trasporti pubblici, l’accoglienza della fiumana di pellegrini da tutto il mondo, la pulizia e il decoro delle strade della città eterna. In particolare, l’afflusso di fedeli è previsto in aumento del 10 per cento rispetto alla media, con sforzi ulteriori da parte delle forze dell’ordine, cui già è deputata la sicurezza di piazza San Pietro e delle principali mete religiose. Gli unici a guadagnare dal Conclave sono, come al solito, operatori alberghieri, venditori di souvenir e ristoratori, che avranno accolto con un gran sorriso le dimissioni di Ratzinger. Per tutti gli altri italiani, invece, il Conclave è sinonimo di mani in tasca.