Un uomo è rimasto in una struttura penitenziaria cinque anni e mezzo, tra topi e blatte. Ed ha atteso inutilmente una sentenza. Arrivata troppo tardi
La Giustizia italiana è spesso lenta, a volte inesorabilmente fermata da una lunga serie di vicissitudini e problematiche. Cavilli, rinvii, problemi di ogni tipo che fermano o rallentano la stragrande maggioranza dei processi. Per la chiusura di alcuni procedimenti, spesso c’è bisogno di anni e molte volte si arriva a formulare una sentenza in tempi biblici. Ma questa volta il caso che arriva dalla Sardegna è clamoroso. Ad un uomo è stato riconosciuto un risarcimento, dopo che era già deceduto.

La vicenda è clamorosa e riguarda Stefano Marini, un uomo che aveva avuto a che fare con la Giustizia e che ha pagato un conto salatissimo. Era stato infatti arrestato ed aveva scontato cinque anni in un penitenziario a Cagliari: il carcere di Buoncammino. La struttura era considerata una delle più fatiscenti: oltre al sovraffollamento (questione che attanaglia la stragrande maggioranza degli istituti penitenziari italiani), il carcere cagliaritano era infestato da topi, blatte, scarafaggi e animali di ogni genere. Marini, una volta uscito dalla struttura carceraria, ha sporto denuncia al Ministero di Grazia e Giustizia per trattamento disumano. Ha iniziato una lunga battaglia legale, che lo ha ulteriormente sfiancato e per la quale ha perso gli ultimi risparmi.
Uscito dal carcere era diventato infatti un uomo senza fissa dimora, domiciliato alla Caritas. Durante il periodo di reclusione (dal 6 giugno 2009 al 17 marzo del 2015), ha lamentato una condizione invivibile. Ha sperato di avere un minimo di giustizia e di poter ottenere un risarcimento economico e morale per aver trascorso cinque anni in condizioni pessime, ma è stato beffato ancora una volta. La sentenza del Tribunale Civile di Cagliari è arrivata dopo la sua morte. A Marini è stata data ragione e il Tribunale gli ha riconosciuto un risarcimento di 15.348 euro per “trattamento inumano e degradante”. Per il giudice si è trattato di una violazione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo.

Marini è morto nel giardino di una casa in via Riva di Ponente a 57 anni. Aveva iniziato a frequentare quel giardino, ottenendo l’ok del proprietario per difendersi dal freddo e dalle piogge. E’ stato proprio il proprietario dell’abitazione a trovare il cadavere e a denunciarne la morte. “All’esito dell’istruttoria – si legge nelle motivazioni – si deve ritenere che su 2110 giorni di reclusione, Stefano Marini aveva trascorso la maggior parte del tempo in celle nelle quali, per la presenza di arredi fissi da scomputare dalla superficie complessiva, non gli era stato garantito lo spazio minimo di tre metri quadrati”. Nel corso delle udienze l’ex detenuto aveva segnalato al giudice “la presenza di topi, blatte e scarafaggi nei locali della Casa circondariale, ma anche l’insufficienza di acqua calda nelle docce comuni”.